Archives for : attualità

Captive State: tra ordine e caos

«La nostra ossessione per l’antagonismo del momento, ci fa dimenticare spesso quanto uniti devono essere tutti i membri dell’umanità. Forse abbiamo bisogno di una lezione, proveniente dall’esterno, dall’universo, che ci faccia riconoscere questo bene comune. Occasionalmente penso a come le nostre differenze planetarie potrebbero facilmente dissolversi, se dovessimo affrontare una battaglia con una forza aliena esterna a questo pianeta…». Questa citazione è parte di un famoso intervento di Ronald Reagan(1) sugli ufo all’Onu, il 21/09/1987, e che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto essere di auspicio, una sorta di collante per l’umanità, facendo sperare in un futuro diverso. Com’è diverso in tutti i sensi l’intento di Rupert Wyatt (già autore del reboot/remaque L’Alba del pianeta delle scimmie, 2011), nel suo, da poco nelle sale, Captive State. Un’opera particolare non solo per la trama, gli effetti e l’ambientazione, ma proprio per il suo significato intrinseco che, è l’opinione comune, travalica naturalmente e di molto, il discorso fantascientifico. Infatti è solo l’invasione aliena, che per alcuni scienziati, con in testa il compianto Stephen Hawking (1942-2018), che si lamentava del fatto che segnalare la nostra posizione alle altre, possibili civiltà presenti nel nostro vicino universo, è molto pericoloso, perché potrebbero arrivare civiltà bellicose che vogliono solo predarci, è da considerarsi, ma non tanto, fantascienza. È proprio questo che accade nel film di Wyatt.
La storia inizia quasi dieci anni dopo il “primo contatto”, non pacifico, come in Star Trek, ma gli alieni, sfuggenti e dalla particolare forma, arrivati con astronavi che ricordano più le montagne sospese di Avatar, che le forme-pensiero di Arrival, si sono stanziati nel sottosuolo della Terra (una strizzatina d’occhio alla teoria che vuole che gli ufo provengano dall’interno del nostro pianeta?), per depredarlo di tutte le risorse naturali. L’umanità vive sulla superficie, in un mondo devastato dalle guerre, uno scenario post-atomico, dove la popolazione è divisa tra collaborazionisti e insurrezionisti che cercano, con una organizzazione clandestina la “Fenice”, di capovolgere le sorti del, non ancora segnato, destino.
Diversi sono i film paragonabili alla pellicola in oggetto. La Chicago di Wyatt, ricorda la Los Angeles del film World Invasion (J. Liebesman, 2011), anche se lì si combatteva a distanza ravvicinata per le strade.
La Macchina Da Presa entra dappertutto, nelle strettoie, nelle case, nelle baracche, con riprese quasi “a spalla” riprendendo i soggetti da dietro, come in un docufilm, che fa balzare alla mente lo splendido I figli degli uomini (A. Cuaròn, 2006), mentre il vago retrogusto segregazionista rimanda a film come Alba Rossa (J. Milius, 1984), con protagonisti dei ragazzi, costretti a diventare uomini troppo in fretta. Come il protagonista del film Gabriel che ha visto i genitori morire sotto i suoi occhi, uccisi dagli alieni, i Legislatori, alla ricerca del fratello Rafael, due “Angeli Negri” (F. Leali), impegnati nell’eterna lotta tra il bene e il male.
Infine, le atmosfere orwelliane, fatte di orizzonti cupi, di chip, di cimici, impiantate alla base del collo (altro riferimento agli impianti degli addotti), ma sul davanti, di collari che rimandano alla teoria che l’uomo probabilmente è un animale addomesticato, infatti una delle traduzioni del titolo del film è: Stato di cattività.
La tecnologia nell’anno 2025 c’è ancora, i computer, internet, anche se ci si collega alla rete alla vecchia maniera, cioè usando la cornetta del telefono, niente mail, ma messaggi anonimi nelle inserzioni dei quotidiani, niente iPod, ma i vetusti 33 giri, fino ai piccioni viaggiatori. Ma a rafforzare il concetto che ormai siamo schiavi della tecnologia, a tal punto da non vedere ciò che accade davvero intorno a noi, con i poteri che entrano sempre più in maniera spietata nella nostra privacy, è grazie ad un vecchio telefonino Blueberry e alla sua scheda che Gabriel scopre la verità, fino a capire i giochi del potere, il ribaltamento dei ruoli, dei concetti, nel film «niente è come sembra». Il commissario (un ottimo John Goodman) è una sorta d’infiltrato, la prostituta Jane Doe(2) è in realtà il Numero Uno della Fenice, fino alla difficile scelta tra ordine o caos, tra democrazia o anarchia, perché a volte non basta un fiammifero per accendere una guerra (dal film).
«E ancora mi chiedo: non esiste già una minaccia aliena sopra di noi?». Così Reagan terminò il discorso iniziale che dal punto di vista ufologico è ineccepibile, ma la morale del film è, purtroppo ben altra. Forse non dobbiamo pensare agli alieni come extraterrestri provenienti dallo spazio profondo, forse i veri nemici sono più vicini di quanto potremo mai immaginare…

Note:
1. Ronald W. Reagan (1911-2004) è stato il 40° Presidente USA dal 1981 al 1989.
2. Jane Doe, nome che viene dato negli ospedali americani alle donne che non possono essere, per il momento, identificate, è interpretata dall’attrice Vera Farmiga.

Spartacus: Orizzonti di gloria

A vent’anni dalla morte del maestro Stanley Kubrick (1928-1999), da molti considerato il più grande di sempre, non è stato semplice scegliere due film che lo rappresentassero (ne ha girati una decina, tutti capolavori o quasi), ma che soprattutto descrivessero, secondo me, il delicato momento storico-sociologico che stiamo vivendo. Certo per i cultori del cinema kubrickiano, lasciar fuori titoli come Lolita (1962), vero e proprio scandalo all’epoca, Eyes Wide Shut (1999), con punte elevate di esoterismo, Shining (1980) o il capolavoro per eccellenza 2001: Odissea nello spazio (1968), che io pongo ai vertici, insieme a Blade Runner, nella classifica delle preferenze, può sembrare un azzardo, o addirittura una lacuna nella conoscenza del cinema e soprattutto dell’uso che Kubrick, fece della Macchina Da Presa.
Il testo che segue quindi è una breve panoramica sui due film, in particolare il primo, sulla capacità tecnica e artistica del regista anglo-americano e sul significato nascosto che alcune scene sembrano avere rispetto ad una visione prettamente ortodossa.
«Misantropo, maniaco del controllo, autore di film algidi e anti-umanisti che nascondevano una visione del mondo e del potere anarchica, e la coscienza dei limiti del cinema»(1). Questa è una delle tante definizioni che i critici hanno espresso per il lavoro del genio nato a New York. Per altri è «stato capace di aggiornare all’era postmoderna e digitale l’ossessione formale, il perfezionismo, lo spessore filosofico, la capacità di fare propri e personali e coerenti con la sua visione autoriale i generi, lasciandoli al tempo stesso chiaramente riconoscibili…»(2). Per altri ancora «Kubrick ha preso storie esistenti decuplicandone la potenza per accedere a quelle stanze dell’inconscio che fanno a cazzotti con la ragione e che mandano in corto circuito la nostra identità di individui»(3).
Non sì può non essere d’accordo almeno con quest’ultima definizione, non solo, ma entrambi i film, sebbene ambientati in epoche cronologicamente molto distanti, analizzano il concetto di guerra da un’angolatura completamente nuova che arriva a ribaltare il concetto stesso, l’impatto che essa ha sulle sorti dell’umanità, visto che è ancora il traino principale che muove l’economia mondiale.
Il trait d’union, sono i due protagonisti, tutti e due interpretati magistralmente da Kirk Douglas, classe 1916, in Spartacus (1960), anche produttore esecutivo e che sostituì il regista A. Mann con Kubrick.
Premesso che chi scrive considera il famoso schiavo (personaggio storico, nato nel 109 a.C.) uno dei pochi veri eroi dell’umanità, «uno dei migliori protagonisti dell’intera storia antica e un genuino rappresentante dell’antico proletariato» (Karl Marx), e rapportandolo agli eroi cinematografici, è un supereroe ante litteram anche se è senza maschera e senza costume. Spartacus (o Spartaco), ha diversi punti in comune con il colonnello Dax, schiavo il primo, schiavo il secondo, non solo perché è in trincea, ma perché è costretto a sottostare ad ordini che egli rifiuta categoricamente e moralmente.

Kirk Douglas in Orizzonti di gloria

Orizzonti di gloria (1957) è un capolavoro perché mette alla berlina tutta la sfera militare, nel momento in cui per evitare ripercussioni dal punto di vista personale, i generali scaricano la colpa sui soldati riluttanti ad attaccare il nemico, quindi ad uscire allo scoperto (cosa che non ha paura di fare Spartaco), arrivando persino a spedire davanti al plotone di esecuzione molti di loro, pur di non ammettere la tattica completamente errata e vòlta al sacrifico (omicidio?) dei fanti.
In netto contrasto con la famosa frase «I’am Spartaco» gridata da tutti gli ex-schiavi al momento in cui i romani chiedono di identificare il loro capo.
Se come detto la guerra (il vero nemico), è la spinta per l’economia mondiale, la politica diventa effetto di una sorta di crudele gioco il cui obiettivo finale resta sempre quello del divide et impera. Addirittura nel dialogo che segue non si può non notare un parallelismo con l’attualità.
Il senatore Crasso al condottiero Marco Glabro: «Credi che ti abbia fatto comandante della Guarnigione per controllare quattro sassi del Vesuvio? O per controllare le strade di Roma?». «Ma io avrò appena sei coorti, il resto della Guarnigione rimane qui».
«E chi lo comanda?». «Giulio Cesare» (omissis) «Hai le legioni accampate alle mura della città». «Le mie Legioni? E tu credi che ordinerei alle legioni di entrare in Roma?».
«Ti ho prospettato che potresti, se fossi costretto!». «Non sai che la più antica legge di Roma vieta ai Generali di entrare in città con legioni armate?». «Silla lo ha fatto». «Silla? Ma a infamia del suo nome, a estrema dannazione della sua stirpe! No ragazzo mio, io ripulirò un giorno questa Roma affidatami dai miei avi. Restaurerò le antiche tradizioni che la fecero grande e dunque non prenderò il potere, né mi difenderò con un atto che tradisse la più sacra tradizione di Roma. No ragazzo, non porterò le Legioni entro queste mura, né ho intenzione di violare Roma, quando posso riuscire a possederla (omissis) Ci hanno fatto già passare da stupidi, non mettiamoci anche la giubba del pagliaccio». Il senso del dialogo è fin troppo chiaro, il potere di un solo uomo è per definizione dittatura, la democrazia è ancora una chimera, chi sta più in alto detta gli ordini, giusti o sbagliati che siano, come in Orizzonti di gloria.
Allora come si può risolvere una disputa, qualunque essa sia? Semplicemente “a chi fa la voce più grossa” come ad esempio in Attacco al potere (E. Zwick, 1998) con D. Washington, agente dell’FBI, che arresta il generale B. Willis, che con le sue truppe ha invaso una New York devastata da diversi attentati terroristici, sebbene questi abbia ordini superiori. Chiusa la questione, il capro espiatorio, viene servito in pasto ai media asserviti al potere. La realtà si confonde, i dubbi aumentano: Terrorismo o Patriottismo? Solo i posteri potranno giudicare, ma Kubrick ha le idee chiare tanto che il colonnello Dax, in Orizzonti di gloria, cita Samuel Johnson(4):
«Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie!».
Mentre oggi, i militari, vengono definiti: “Forze armate… di pace”! Addirittura i concetti si capovolgono, facendo capire alle masse ormai mezze addormentate, il contrario.
Ma «Chi vuole fare la guerra?». Dal dialogo tra lo schiavo, divenuto generale e Varinia la moglie, si scopre uno Spartaco impensabile, deluso dal comportamento umano, il suo desiderio di conoscenza, di rispetto per la natura e il creato. Se pensate che questa sia un’iperbole, lontana appunto anni luce sia da questo film che da Orizzonti di gloria, l’apice si ha ne Il dottor Stranamore (1964), dove viene rappresentata, senza mezzi termini, l’idiozia umana.

«Goodbye My Life»

Il finale di Spartacus poi è un’escalation di nozioni che vanno molto al di là delle comuni concezioni, vecchie, logore e in molti casi, false.
La scena è di una profondità non sporcata da ideali e dove le credenze, ancora una volta, si ribaltano: Spartaco crocifisso sulla via Appia insieme a migliaia di altri schiavi (fatto storico, non confermato), aspetta la morte quando, prima di esalare l’ultimo respiro, vede arrivare la moglie che porta in braccio il loro figlio appena nato. Cosa vuole dirci in questo caso Kubrick, è una sua versione della Sacra Famiglia e di ciò che veramente accadde nel venerdì Santo di una Pasqua lontana duemila anni?
È il Padre che si sacrifica per il Figlio, è il Padre che rende con la sua morte la libertà al figlio e redime l’umanità dalla schiavitù. E ancora è la moglie (la Maddalena?) che si aggrappa ai piedi del Marito inchiodati alla croce, questo a sfatare il fatto che Maria forse, secondo i Vangeli Apocrifi, non era presente alla Crocifissione.
La carrozza con la moglie e il figlio si allontana lentamente all’orizzonte: la morte qui, non deve far paura, non è una sorta di liberazione, ma è continuazione, non la fine di tutte le cose, ma l’inizio.
A conferma di quanto esposto, ecco il breve dialogo precedente, fra Antonino (T. Curtis) il cantore: «Solo, ora mi sento, perduto e solo in un mondo lontano» (frase che sintetizza anche il finale di “2001”), che chiede all’amico: «Ti fa paura morire, Spartaco?». «Non più che allora il nascere».

Note:
1. https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2019/03/06/news/stanley_kubrick_20_anni_dalla_morte-220851984/#gallery-slider=66176936

2. https://www.comingsoon.it/cinema/news/kubrick-oltre-kubrick-chi-sono-oggi-gli-eredi-del-grande-stanley-a-vent/n87237/

3. https://www.comingsoon.it/cinema/news/stanley-kubrick-a-vent-anni-dalla-morte-e-sempre-una-leggenda/n87309/

4.Samuel J. Johnson (1709-1784) è stato un critico letterario, poeta, saggista, biografo e lessicografo britannico. È spesso citato come dottor Johnson. Fu un devoto anglicano e politicamente un tory ed è stato classificato come “senza dubbio il letterato più illustre nella storia inglese”. Wikipedia

fonti:
https://www.comingsoon.it/cinema/news/stanley-kubrick-e-l-eredita-tradita/n87329/
https://it.wikipedia.org/wiki/Orizzonti_di_gloria_(film)
https://www.mymovies.it/film/1957/orizzontidigloria/
https://www.mymovies.it/film/1960/spartacus/
https://it.wikipedia.org/wiki/Spartacus
https://it.wikipedia.org/wiki/Spartaco

credits, immagini tratte da:
https://www.mymovies.it/film/1960/spartacus/poster/0/
https://rivegauche-filmecritica.com/2014/10/26/orizzonti-di-gloria-1957-di-s-kubrick-il-piu-grande-film-antimilitarista-della-storia-del-cinema/
https://www.youtube.com/watch?v=w0cXyGVsUjs

Il Primo Re: il fiato degli Dèi

Alessandro Borghi è Remo

L’agnellino bianco rannicchiato sull’erba nella classica posizione pasquale, poco più in là il resto del gregge, due pastori a sorvegliare il loro pascolo. Pioggia, tanta pioggia, tuoni e fulmini, quasi un castigo di Dio. Uno dei pastori prega chiedendo la protezione degli Dèi affinché plachino le ire della natura e mentre incide un simbolo su una roccia, un rombo annuncia la catastrofe: solo il tempo di dire:  «scappa» (il film è recitato in una forma di latino arcaico) e una piena del Tevere, come un piccolo diluvio, travolge tutto e tutti: le bestie e gli uomini, i due fratelli Romolo e Remo, sballottati dalla furia dell’acqua, sbattuti contro rami e rocce si salvano a stento, ma solo per finire prigionieri dei guerrieri di Alba.
Queste le prime sequenze del film Il primo Re, diretto da Matteo Rovere, regista italiano per un film che non sembra del tutto tale. Nudo e crudo, cupo e viscerale allo stesso tempo, poetico e sanguinario, a tratti solenne come The Passion di M. Gibson (recitato in latino e aramaico) e con elevate punte di sacralità alla Avatar (J. Cameron). Non tanto per la magnificenza delle scene piene di colori talmente cangianti da sembrare innaturali nel capolavoro di Cameron, ma da ciò che traspare palesemente dai dialoghi. Nel film di Rovere dove viene rappresentata l’inizio della civiltà italica, ma il concetto potrebbe essere più esteso; pare che il sole non sorga mai, anche se gli uomini sembrano risorgere dal fango, dall’argilla, ma con nessun Dio a soffiare nelle narici, perché prima del monoteismo, prima dell’unico Dio (concetto che per molti revisionisti è una teologia falsa), lontano ancora più di 700 anni, quel dio era donna: La Trinità Dea.

Alfabeto Runico

Ma andiamo con ordine: cos’è quello strano simbolo scavato a fatica nella roccia? Potrebbe essere una lettera dell’alfabeto runico? E se così fosse come potevano conoscerlo se è un simbolo proprio delle popolazioni nordiche? In particolare nell’alfabeto antico inglese, il segno potrebbe essere il “Sigel”, la cui traduzione è “sole”, “spiritualità”. Sebbene il significato del termine “runa” significhi anche “protezione” (ecco il perché dell’incisione sulla roccia, prima dell’inondazione), ciò sottintende un’origine magica dei segni, inoltre: «Dai più antichi esempi di scrittura, attraverso canali sotterranei della mente umana ed in similarità con altri alfabeti, le rune narrano la creazione dell’uomo nonché della specie umana. Sono arrivate a noi quale testimonianza di un modo di vivere di un mondo primitivo, ma non per questo privo di fascino e con il loro significato etimologico, storico, mitologico ed esoterico fanno pertanto parte del patrimonio dell’umanità»(1). Ed è proprio questo che traspare a chiare lettere nell’opera di Rovere che -e se questo era l’intento è riuscito in pieno, ha concepito e realizzato un’opera, che sebbene racconti di Roma, prima di Roma, il suo sottobosco ha i connotati dell’Universalità. Sul poster si legge: «La storia diventa leggenda», ma la leggenda spesso diventa storia ed entrambe confluiscono nel mito. Un mito che è proprio di tutta la civiltà umana, che parla di Dèi scesi dal cielo. Di uomini e di donne che parlavano con Loro, e che quando sono partiti hanno lasciato una conoscenza che è solo di chi riesce a comprenderla, con cuore puro e spirito saldo.
Dèi che sono confluiti nelle forze della natura ed infatti nel film sono tre gli elementi principali: acqua, terra e fuoco, a formare la Trinità Dea: il fuoco sacro, custodito dalla vestale (la famosa lupa della leggenda?), l’unica autorizzata a proteggerlo, a custodirlo, l’unica che può interpretare il volere degli dei, che parlano per sua bocca: «il fiato degli Dèi». Ella predice il futuro dei due fratelli e sebbene veda in Remo una luce sacra, purtroppo ne resterà soltanto uno. Sempre lei li proteggerà fino alla fine, la sua fine, proteggerà Remo e Romolo ferito in battaglia. Remo va incontro al suo destino, di cui è artefice e vittima allo stesso tempo, la sua luce è esteriore, un guerriero viscerale, non ha la luce interiore di Romolo. E per questo che Remo “passa il solco”. Metaforicamente e praticamente e concede a Romolo di diventare un simbolo, un simbolo di forza, di unione, di coraggio e clemenza, un simbolo vero, perché: «i simboli veri provengono dall’ inconscio collettivo, dalla vita dell’universo e non dalla vita del singolo individuo»(Carl G. Jung)).
È quando l’uomo vuole elevarsi a Dio che le cose non funzionano, in particolare se pensiamo di capire Dio, perché se un Dio può essere capito dagli uomini, non può essere un vero Dio. Sui titoli di coda appare una mappa con l’espansione dell’impero romano che si estende fino a raggiungere la Terra Santa dove millenni prima l’Elohim (plurale) conosciuto da alcune piccole tribù con il nome di Yahweh è stato fatto diventare l’unico Dio vero.

Note:
1. Fernanda Nosenzo Spagnolo, “Divinazione con le rune”, l’Airone Editrice, Roma, 1997.

Credits:
http://www.novaracinema.it/al-faraggiana-il-primo-re-con-alessandro-borghi-da-giovedì-31-gennaio
http://www.wikiwand.com/en/Anglo-Saxon_runes

2019: the future is now!

Il mio primo contatto con la Fantascienza (FS) avvenne, come per molti della mia generazione, a metà degli anni settanta, con la serie cult Spazio 1999. La tv era ancora in b/n, ma la creatività degli autori, i coniugi Gerry e Sylvia Anderson, seppe suggestionare i telespettatori, facendoli quasi toccare la Luna con un dito. In fondo lo sbarco dell’Apollo 11, se mai ci sia stato (vedi qui), era avvenuto pochi anni prima della produzione della serie tv, ma guardare la Base Lunare Alfa, le candide divise bianche dei protagonisti e soprattutto le porte scorrevoli che si aprivano e chiudevano automaticamente al passaggio e che alcuni anni dopo sarebbero state installate ovunque e, infine i comunicatori altrettanto funzionanti (non quelli di Star Trek), quasi cellulari ante litteram, sembravano proprio di un altro mondo. Il binomio titolo, film o romanzo che sia, e un numero ad indicare l’anno, nella FS, è quasi indissolubile (come leggere un racconto o un fumetto legato alla Science Fiction), rendeva il tutto più intrigante e coinvolgente dato che la domanda che tutti ci ponevamo all’epoca, ma ancora oggi, è: “quello che sto guardando accadrà un domani?”. Questo che segue è una breve digressione sui film di fantascienza che hanno all’interno del titolo un anno, oppure sono ambientati, in un anno specifico.
Esattamente un anno prima dell’allunaggio uscì al cinema il film dei film di FS: 2001 Odissea nello spazio di S. Kubrick. Il mondo degli appassionati e non restò sbalordito dalla coerenza scenica: la salita sottosopra della hostess, la stessa che prende la penna che fluttuava a mezz’aria, cose da restare a bocca aperta, in particolare se si pensa che Kubrick per girare la scena ricorse ad un adesivo sperimentale incollato su un vetro con la penna e, in realtà era il vetro che girava davanti alla cinepresa. L’evoluzione della razza umana, ad opera del monolito nero, a rappresentare l’intervento di un’intelligenza superiore, fino a Giove e oltre l’infinito.

Una scena di 2001, al centro i “tablet”

Nel film compaiono una sorta di tablet, quasi come quello con il quale sto scrivendo il post e che poco tempo fa ha portato in tribunale i colossi Apple, che rivendica la paternità dell’invenzione, e la Samsung che ha fatto ricorso alla cosiddetta prior art(1). L’intelligenza superiore (divina o extraterrestre) si manifesta nel seguito ufficiale del capolavoro kubrickiano e cioè 2010: l’anno del contatto (P. Hyams, 1984), dove il sorprendente finale, non solo fa capire che tale intelligenza esiste, ma la stessa veglia da sempre sulla razza umana, dandogli l’ennesimo comandamento, prima che Giove stesso diventi una stella: il messaggio dice che tutti questi mondi sono nostri tranne il satellite gioivano Europa, sul quale l’uomo non deve atterrare, per nessun motivo. Una sorta di Eden? E una sorta di Eden spaziale sono le astronavi di 2002: la seconda odissea (D. Trumball, 1971) che si ricorda solo per la forte valenza ecologica, visto che le astronavi trasportano, come in un’arca, tutte le specie, stavolta, vegetali. Ritornando a Kubrick purtroppo egli morì prima del “suo” 2001, nel 1999, anno fatidico non solo per la cinematografia di FS, ma per tutta l’umanità visto che ci sarebbe stato il cambiamento di tutte e quattro le cifre che compongono gli anni. In 1999: conquista della Terra (J. Lee Tompson, 1972) quarto capitolo della fortuna saga de Il pianeta delle scimmie, che prendono possesso del pianeta: la saga che ha avuto vari remake e prequel/sequel arriva fino all’Anno 2670: ultimo atto girato dallo stesso regista nel 1973. Un’umanità «eccitata e spersa» festeggia il capodanno del 2000 in Strange Days, che sono i giorni che sembra stiamo vivendo oggi; il film è del 1995 girato dalla regista premio Oscar ed ex moglie di J. Cameron, K. Bigelow.
Ora è l’uomo ad aver paura di sè stesso e dei rischi che corre se continua sulla strada dell’autodistruzione.
Il film 2000: la fine dell’uomo (C. Wilde, 1970), parla proprio di inquinamento e relativa sopravvivenza della razza umana. La stessa umanità inoltre si è trovata a combattere contro un nemico quasi invisibile ma molto potente: i virus, scatenatesi, per colpa o accidentalmente, dalla creatura più intelligente che vive sul pianeta. È del 1963 il film L’ultimo uomo della Terra dell’italiano U. Ragona, il protagonista, l’attore Vincent Price, vaga da solo nel quartiere EUR a Roma la cui architettura aumenta in realtà la claustrofobia di un’opera eccezionale. Tratto dal romanzo di R. Matheson: Io sono leggenda, ha avuto diversi remake da 1975: Occhi Bianchi sul pianeta terra (1971), di B. Sagal con C. Heston, al capolavoro omonimo con Will Smith. E vera e propria leggenda è K. Russell ne 1997: fuga da New York, diventata nel frattempo un carcere a cielo aperto; il film di J. Carpenter è del 1981, ma chi di noi non ha la sensazione, oggi, di vivere in un carcere a cielo aperto con tutte le restrizioni e i controlli alla Grande Fratello? Il film sul romanzo best seller di G. Orwell 1984 (scritto nel 1948) si intitola Nel 2000 non sorge il sole (M. Anderson, 1956) e il suo remake diretto da M. Radford, uscito proprio in quel fatidico anno. Oggi tutto è sotto controllo, fra poco forse, ci faranno pagare persino l’aria -e non è una battuta, basta leggere il romanzo di Lorenzo Iacobellis: Oxygen(2).
Kevin Costner è protagonista e regista del film: L’uomo del giorno dopo (1997), il divo hollywoodiano cerca di far risorgere il servizio postale in un mondo postatomico, nel 2013 si trova a dover combattere contro una sorta di dittatore per liberare, quel poco di umanità rimasta, dallo schiavismo e ripristinare la democrazia: curioso, visto che tutto è iniziato dalle semplici mail.
Nella saga Ritorno al futuro (R. Zemekis) che copre più di un secolo (1885, 1955, 1985, 2015), oltre alle scarpe con gli autolacci, al giubotto che si asciuga da solo, allo skateboard anti gravità, si parla del meteo preciso al secondo(?), del fatto che le “poste” non lo siano altrettanto, e del sistema giudiziario: il figlio del protagonista viene arrestato, giudicato e condannato in due ore perché nel futuro «hanno abolito gli avvocati!».
Arriviamo al film e alla data di tutte le date, e che avrebbe dovuto cambiare il destino della razza umana: 2012, dal re, indiscusso, del catastrofismo R. Emmerich (2009). Fra lo sconquasso totale dei continenti secondo la teoria dello spostamento delle placche tettoniche (e i Segnali dal futuro ci sono tutti), il solo continente a salvarsi da mega onde e dalla traslazione dei poli è l’Africa. Un mònito per come viene stremata e per come stiamo affrontando la questione immigrati? E un mondo sovraffollato e ridotto alla fame viene rappresentato nel film 2022: i sopravvissuti (R. Fleischer, 1973): la popolazione è costretta a mangiare delle gallette verdi che si scopre alla fine essere prodotte con i cadaveri. In questo modo il sistema marcio, coglie i classici due piccioni con una fava.

Una scena di Blade Runner

Arriviamo così all’anno indicato come titolo di questo testo: il 2019. Non sono usciti film che hanno nel titolo quest’anno, ma quest’anno è l’anno di un altro capolavoro della FS cinematografica: Blade Runnerdi Ridley Scott.
Il film è del 1982: in una Los Angeles superaffollata e multietnica, diventata ormai uno stereotipo della metropoli del futuro, perennemente avvolta in un paesaggio cupo e piovoso; quindi, forte inquinamento, alterazione del clima, tutti fattori che concorrono a trasmettere, allo spettatore, un forte senso d’angoscia. Un mondo invivibile, quasi una metafora di questo attuale, dove il progresso sembra regresso. Ognuno è in bàlia del destino (da ricordare il sequel: Blade Runner 2049, di D. Villeneuve, 2017), in lotta con il prossimo, costretti a sgomitare per difendere il proprio, piccolo spazio vitale, sempre più minacciato, dall’uomo stesso, dall’ambiente e dalle macchine. La fuga è l’unico rimedio; l’auto sulla quale fuggono i protagonisti sembra proprio una macchina del tempo, ma non come quella de L’uomo che visse nel futuro (G. Pal, 1960), tratto dal romanzo The time machine di H. G. Wells, il protagonista, l’attore Rod Taylor arriva fino all’anno 802.701! No, non è un numero verde tronco, è proprio l’anno visitato dal crononauta: ma, sicuramente, come canta F. Guccini «noi non ci saremo».

Note:
1. https://www.tuttoandroid.net/samsung/samsung-vs-apple-samsung-cita-una-scena-di-2001-odissea-nello-spazio-24956/
2. L. Iacobellis, Oxygen, Delos Digital, Futuro Presente 19.

Fonti:
Giovanni Mongini, La Fantascienza sugli schermi, Perseo Libri, Bologna 2002.
Gianmaria Contro, Architetti del futuro, in Nathan Never – Almanacco della Fantascienza 2008, S. Bonelli Editore, 2008.
http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2019/01/06/AD4uz6YD-previsto_visionari_asimov.shtml
http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2019/01/02/ADZtP3SD-fantascienza_philip_runner.shtml

Credits:
https://www.serialclick.it/telefilm/6471/space-1999
https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=JQ8pQVDyaLo
https://bladerunner.fandom.com/wiki/Themes_in_Blade_Runner

First Man: Destination Moon?

«Siete solo un branco di mocciosi che gioca con gli aeroplanini di legno». È la moglie di Neil Armostrong a gridare questa rabbiosa frase in faccia ad uno dei responsabili della Nasa.
Il film è First Man -Il primo uomo, che vede ricomporsi la coppia Damien Chazelle regista e Ryan Gosling (Neil Armostrong), già insieme per il plurivincitore di Oscar (2017), La La Land (2016). Gli aeroplani rimandano ad una divertente battuta di Contact (R. Zemeckis, 1997) quando la protagonista (J. Foster), nel tentativo di acquisire nuovi fondi per il suo progetto SETI ribatte alla Commissione: «Fantascienza? Ne volete sentire un’altra? Ho sentito di due tizi che vogliono costruire un coso, metterci le persone sopra e farlo volare come un uccello? Ci credereste?». First Man, un misto tra biopic e docufilm, narra la storia di un uomo come tanti che, insieme ad altri, vuole perseguire il suo «sogno»(1) di mettere il proprio, primo, piede sulla superficie del nostro satellite.
E se vogliamo parlare di fantascienza, fu Georges Méliès che nel lontano 1902, un anno prima del primo volo dei fratelli Wright, realizzò Le Voyage dans la Lune; film come Destination Moon (I. Pichel, 1950), in italiano -Uomini sulla Luna, che la Nasa usò quasi come propedeutico, sebbene fosse molto ingenuo, per istruire i suoi futuri astronauti (all’inizio del lavoro di Chazelle, si vede una breve clip, invece molto realistica, realizzata dall’Agenzia Spaziale, dove si scorge chiaramente il getto dei motori che fuoriesce dal LEM in decollo dalla Luna, che nei filmati originale non c’è!). Infine La donna nella Luna (F. Lang, 1928), che si avvalse della collaborazione di uno dei primi esperti di astronautica: Hermann Oberth. Ci si potrebbe chiedere se non è vera fantascienza il fatto che sono bastati solo 67 anni, per passare dai pochi metri che fece il rudimentale aereo dei due fratelli, all’allunaggio, il 20 luglio del 1969. Suggestiva la scena in cui Armstrong fa appena in tempo ad eiettarsi dal simulatore per l’allunaggio, prima che il veicolo si schiantasse al suolo; dopo lo scampato pericolo guarda lo stesso in fiamme e poi guarda la Luna, alta nel cielo, che sembra sempre più allontanarsi «nell’abisso degli abissi».
Era quello il tempo delle cassette Stereo8, dei telefoni neri attaccati alle pareti, delle gomme di auto usate come altalena, delle madri casalinghe che preparavano i biscotti nelle loro classiche cucine all’americana, nelle altrettanto classiche case basse, mono piano, mentre i bambini giocavano sul green lì davanti, fantasticando sulla Terra di Egelloc (che è solo la parola College scritta al contrario). Era anche il tempo delle lotte intestine per la guerra in Vietnam, delle proteste degli afro-americani vittime di razzismo e delle loro canzoni, loro «non si possono pagare il dottore, mentre i bianchi vanno sulla Luna», ma qui siamo già nel 1968. I dottori… chissà se Armstrong, uomo semplice che viveva la sua vita in famiglia a «piccoli passi» (ancora Contact), per prepararsi al «grande balzo» per l’umanità, non si sarà chiesto, almeno per un istante, quando nel Mare della Tranquillità dà l’estremo saluto alla figlioletta, morta in tenera età di cancro, lanciando “a Luna” il piccolo braccialetto, che forse avrebbe potuto fare il medico e tentare il tutto per tutto per salvare sua figlia. Se si sarà chiesto mai se non avesse potuto vivere una vita diversa, invece di una vita all’incontrario. Di fatti il film finisce come sarebbe dovuto iniziare e cioè con il discorso del Presidente JFK che agli inizi degli anni ’60, annunciò al mondo che entro la fine del decennio un astronauta americano avrebbe messo piede sul suolo lunare.
Ma come fecero gli americani a battere sul tempo i sovietici che erano in netto vantaggio?
Il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1 venne lanciato in orbita il 4 ottobre 1957. «La notizia stupì il mondo intero». Primo animale in orbita, la cagnetta Laika con lo Sputnik 2, un mese dopo, il 3 novembre 1957. Primo essere umano lanciato nello spazio: Jurij Gagarin con il Vostok 1, il 12 aprile 1961. Prima donna nello spazio, Valentina V. Tereškova sul Vostok 6, il 16 luglio 1963. Questi sono i record più noti, infatti sulla relativa pagina di Wikipedia, da cui è tratta la citazione precedente, la lista dei primati è molto lunga, il Programma Spaziale Sovietico, vanta anche: prima attività extra veicolare (E.V.A.), Aleksej A. Leonov marzo 1965; e ancora, prima sonda sulla Luna, prime immagini del suo lato nascosto, prime sonde lanciate verso Venere e Marte ecc. fino alle stazioni spaziali Salyut 1, nel 1971 e la più nota MIR, pensionata nel 2001. Quindi, secondo il metodo deduttivo tanto caro ai cattedratici, acerrimi sostenitori della scienza ufficiale: chi è andato sulla Luna? Gli americani!
«Il ragionamento deduttivo (o scientifico, nda), sta a fondamento di tutte le dimostrazioni e i teoremi della matematica, ma non ci permette di scoprire o prevedere fatti nuovi e quindi di ampliare le nostre conoscenze, compiendo un salto dal noto all’ignoto»(2). Che fu proprio quello che fecero gli USA.
Per correttezza vediamo i fatti più a fondo, riassumendo lo stato dell’arte all’epoca.
Quella che segue è una breve analisi tratta dal DVD realizzato da Massimo Mazzucco: American Moon (vedi fonti video). «Poche persone ricordano che, parallelamente al programma americano Apollo anche i sovietici cercarono di avere un loro programma. Ma questo programma sovietico, che era la controparte dell’Apollo americano, fallì. Fallì perché il razzo russo, l’equivalente del Saturno 5, esplose diverse volte…», Dr. Roald Sagdeyev, ex direttore dell’Agenzia Spaziale Russa.
«Nell’autunno 1965, il generale Phillips direttore del Progetto Lunare Apollo, presentò ai suoi superiori un rapporto che denunciava, senza mezzi termini, lo stato di confusione e di arretramento del programma lunare…». Due anni dopo «Nel marzo del 1967, il direttore della Nasa Webb, si presentava alla Commissione Parlamentare di Scienza e Astronautica (omissis): se ce la faremo entro il 1969 (omissis), saremo molto, molto fortunati, le possibilità di completare tutto il lavoro necessario, sono meno quest’anno, di quanto lo erano un anno fa…». Un anno dopo, Webb, lasciò la Nasa…
Nel 1976, Bill Kaysing, padre del cosiddetto Moonhoax, pubblicò il libro, divenuto bestseller: Non siamo mai andati sulla Luna. Nel libro, l’autore sostenne la tesi che le missioni Apollo siano state, in realtà filmate in uno studio cinematografico, nell’ormai arcinota base segreta Area 51.

Ryan Gosling che ricorda il David di “2001”

Altri hanno sostenuto, lo scrivente ne conviene, che l’unico in grado di assolvere al ruolo di regista fosse Stanley Kubrick, da poco realizzatore di quello che è un capolavoro assoluto del cinema e cioè 2001: Odissea nello Spazio, (Chazelle cerca di ricreare alcune scene delle astronavi che danzano, ma non con Il bel Danubio blu). Proprio Mazzucco, fa ampio uso di spezzoni del cult, per spiegare diversi elementi tecnici dovuti alle foto e alle riprese ritenute false, come ad esempio la linea dell’orizzonte che divide la linea di terminazione del set cinematografico con lo sfondo finto, secondo la tecnica conosciuta come front-projection (3).
Un altro problema per i debunkers(4), fu quando Google lanciò, nel 2007, il concorso Lunar X Prize, offrendo un premio di 30 milioni di dollari(!), «alla prima organizzazione privata che riuscirà a mandare una sonda sulla Luna con un robot che possa percorrere almeno 500m trasmettendo in diretta le immagini a Terra (omissis), venti squadre (da tutto il mondo, nda), hanno annunciato di voler partecipare al concorso». Google, comunicò poco dopo che avrebbe istituito «un premio supplementare di 4 milioni di dollari, per chi riuscirà a trasmettere immagini televisive in diretta da uno qualunque dei luoghi di allunaggio delle missioni Apollo». La risposta della Nasa? «Nel 2011, ha chiesto ufficialmente che venga stabilita una no fly zone di almeno 2km di raggio tutto intorno ai luoghi di allunaggio delle missioni Apollo»(!). Ma come, sarebbe stata una conferma diretta dell’avvenuta presenza dell’uomo sulla Luna e loro che fanno, negano l’accesso? Questa la spiegazione: per «preservare i luoghi di allunaggio da eventuali contaminazioni»?!
Altro problema è l’attraversamento delle cosiddette fasce di Van Allen, dal nome del loro scopritore, le fasce vanno da una distanza minima di 1.500 km dalla Terra, fino ad un massimo di 40.000 km dalla superficie del nostro pianeta. Le fasce essendo altamente radioattive pongono «dei problemi che a tutt’oggi non sembrano stati risolti». In poche parole gli astronauti delle missioni Apollo sono gli unici esseri umani ad averle attraversate (le altre missioni sia americane che russe, Shuttle, Stazione spaziale, ecc.) si svolgono molto al di sotto, nella zona definita “bassa orbita terrestre”, quindi al sicuro da quel tipo di radiazioni. In sostanza sia i razzi di tutte le missioni Apollo, che soprattutto le tute degli astronauti, non erano adatte a proteggere sufficientemente dalle radiazioni stesse che avrebbero potuto risultare addirittura mortali! Fatto questo confermato da quasi tutti gli esperti, come si vede benissimo nel dvd in questione. Ma all’epoca la Nasa, minimizzò il tutto, ritenendolo un problema secondario, ma adesso con le future missioni Orizon, il problema sembra ripresentarsi in tutta la sua pericolosità. Come mai?

Il LEM sul suolo lunare

E i fogli di cartapesta tenuti insieme da un po’ di nastro adesivo sul LEM? E perché i progetti dello stesso modulo lunare «non esistono più perché (secondo la ditta costruttrice, nda), occupavano molto spazio»! I progetti più importanti della storia «buttati al macero». Ma stiamo scherzando? Certo che no! E non è finita qui.
Se questo ancora non dovesse bastare agli onnipresenti scettici (per il sottoscritto, lo ribadisco, lo scetticismo è solo mancanza di conoscenza), c’è di più! Infatti anche i nastri originali della prima “passeggiata” di Armstrong, sono scomparsi!
«Il primo passo di un essere umano su un altro corpo celeste (omissis) non si trova più»? E ancora, per quanto riguarda le trasmissioni, il tempo tra domanda (dalla Terra) e risposta (dalla Luna?), era molto più breve dei 2,6 secondi calcolati. L’ondeggiamento della telecamera senza che la trasmissione andasse “fuori onda”, e il “puntamento” poteva essere fatto solo con uno strumento ottico(5); sarebbe bastato un piccolo sobbalzo del rover che montava la telecamera per far si che accadesse. I riflessi poco sopra la testa degli astronauti che farebbe pensare chiaramente ad un possibile sottile cavo d’acciaio che li reggesse, e difatti se si guardano al ralenty alcuni frame, Armstrong e Aldrin, sembrano stiano recitando in una puntata di “Oggi le comiche” (con tanto di sottofondo musicale adeguato): troppo innaturali i movimenti, anche tenuto conto che la gravità sulla Luna è un sesto (1/6) di quella terrestre. Sembra proprio che ci sia qualcosa «che li aiuti a tirarsi su»!
E la bandiera che sventola? E l’assenza di danni alle macchine fotografiche e in particolare alle pellicole dovuti ai raggi cosmici? Le foto sembrano perfette, molto “contrastate”. La possibilità che stiamo parlando di riprese all’interno di uno studio cinematografico è confermata dai più importanti fotografi del mondo, Oliviero Toscani compreso, per loro: la presenza di Hotspot (il punto caldo dovuto all’illuminazione con un potente faro e il Fall-off (il punto meno illuminato), conferma il fatto che ci troviamo di fronte ad una simulazione; in molte foto poi le ombre non sono parallele (e dovrebbero assolutamente esserlo, visto che l’unica fonte luminosa sarebbe dovuta essere il sole), non c’è un netto contorno (sul nostro satellite non c’è atmosfera) e l’illuminazione è completamente sbagliata, visto che anche i soggetti che dovrebbero essere in ombra, semplicemente non lo sono. «Ci considerano degli eroi, ma la Luna ci ha distrutto», parole di Buzz Aldrin(6), in un’intervista, sempre presente nel dvd.
E Gli strani eroi di Apollo 11 è il titolo di una interessante clip, disponibile su YouTube (v. fonti), dello stesso Mazzucco, in cui i tre astronauti, dopo i festeggiamenti, al momento delle interviste di rito, sembrano frastornati, titubanti, insicuri nelle risposte e con le facce in cui si legge chiaramente il loro imbarazzo.
Vi sembra l’atteggiamento di chi ha compiuto finora la missione più importante di tutta la storia umana?
E dulcis in fundo, nessuno dei tre: Armstrong, Aldrin e Collins (cattolici convinti), più volte hanno rifiutato di giurare sulla Bibbia la veridicità della loro missione (in America lo spergiuro è un reato grave). Non vi sembra che ci sia molta carne al fuoco? O credete che questo sia tutto fumo? Ma dove c’è fumo c’è sempre un po’ d’arrosto. In una delle sue ultime apparizioni in pubblico, in una cerimonia, alla presenza di Bill Clinton (1994), lo stesso Armstrong, cerca di svelare qualcosa, alludendo a «certi veli che proteggono la verità». Questa l’onesta indagine di Massimo Mazzucco che con intelligenza e maestria mette a nudo tutte le incongruenze. Dov’è la verità? Nessuno la saprà mai, logico, ma possiamo trarne lo stesso delle considerazioni.
Forse è vero che nessuna delle missioni Apollo, è effettivamente andata sulla Luna. Può darsi che ci sono andati in segreto, prima o dopo il luglio del 1969, le foto, quasi tutte “taroccate” lo sono state perché la Nasa cerca da sempre di occultare in tutti i modi e con tutti i mezzi la presenza extraterrestre, oltre che sul nostro pianeta, anche sul suo satellite naturale, soprattutto nel famoso Dark side of the Moon. Nella poco nota trasmissione radio «Usate Tango»(7) è lo stesso Armstrong a riferire di vedere «astronavi» aliene e una «forma di vita» sulla superficie lunare. L’agenzia spaziale americana si limitò a dire che quella non era la voce di Armstrong, e difatti Armstrong forse non c’è mai stato sulla Luna, ma la Nasa non ha mai detto che quella trasmissione è un falso! Una velata ammissione?
Mistero(8), quindi. Albert Einstein disse: «La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza». Quindi cari scettici, cari debunkers, cari sostenitori della versione ufficiale a tutti i costi, ciò significa che se non si accetta il mistero, non può esserci vera scienza. È come il gatto che si morde la coda, stavolta la “scienza” ha fatto largo uso della fantascienza che, a loro uso e consumo, è stata fatta passare per Scienza.
Quindi un piccolo passo per l’uomo (certo siamo sulla Terra), potrebbe essere stato un grande bluff per l’umanità. Un’umanità che sarebbe dovuta uscirne più coesa, che è ciò che induce a pensare la bellissima, da brividi, quasi reale, sequenza finale del film(9). Ancora una volta così non è stato.

Nota dell’autore:
Data una certa difficoltà, lo stesso, si riserva di correggere ove opportuno.

Note:
1. Dal TG2 del 29.08.2018.
2. http://www.treccani.it/enciclopedia/ragionamento_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/
3. vedi anche: https://unoeditori.com/mai-stai-sulla-luna-misteri-e-anomalie-delle-missioni-apollo-e-front-screen-projection-2/
4 Un debunker (inglese), in italiano sbufalatore, demistificatore o disingannatore, è una persona che mette in dubbio o smaschera ciarlanaterie, bufale, affermazioni o notizie false, esagerate, antiscientifiche, dubbie o pretenziose (Wikipedia). Nel dvd compare diverse volte Paolo Attivissimo, del CICAP, uno dei più noti.
5. https://www.luogocomune.net/LC/8-imported/2409-ladirettat3837
6. In un’altra intervista su YouTube sembra confermare che lo sbarco non c’è stato.
https://www.youtube.com/watch?v=CvS-TvYDaxY
7. https://www.segnidalcielo.it/missione-apollo-11-parla-neil-armstrong-gli-alieni-ci-hanno-intimato-di-allontanarci/
8. È lo stesso regista ad usare il termine in un’intervista nel programma di Rai4 “Wonderland” puntata n°5 del 02.11.18.
9. Nel film Capricorn One (P. Hyams, 1978), viene addirittura simulato lo sbarco su Marte, molti non escludono che ci sia stato davvero.

Fonti:
http://www.fantascienza.com/23715/first-man-ecco-il-trailer-su-neil-armstrong-il-primo-uomo-sulla-luna
http://www.fantascienza.com/23920/il-primo-uomo-first-man-il-nuovo-trailer-ci-porta-sulla-luna
http://www.fantascienza.com/24107/first-man-il-primo-uomo-l-avventura-di-neil-armstrong
https://www.fantascienza.com/24103/first-man-la-vita-del-primo-uomo-sulla-luna
http://www.fantascienza.com/24097/biografia-di-un-eroe-moderno-neil-armstrong
https://www.comingsoon.it/cinema/news/il-primo-uomo-anche-in-italiano-il-trailer-del-film-di-damien-chazelle-con/n79082/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/first-man-ecco-ryan-gosling-nei-panni-di-neil-armstrong-nel-film-dedicato/n78963/
https://www.comingsoon.it/film/first-man-il-primo-uomo/54650/recensione/
https://www.comingsoon.it/cinema/interviste/il-mio-documentario-famigliare-su-neil-armstrong-chazelle-e-gosling/n81048/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/first-man-il-primo-uomo-ryan-gosling-in-una-nuova-clip-italiana-in/n82400/
https://www.mymovies.it/film/2018/firstman/
https://www.mymovies.it/film/2018/firstman/rassegnastampa/862741/
https://www.mymovies.it/film/2018/firstman/rassegnastampa/862743/
https://www.mymovies.it/film/2018/firstman/news/la-nostalgia-per-unamerica-che-non-ce-piu/#b1
http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2018/08/28/nasa-diffonde-19.000-ore-di-audio-dimenticati-dellapollo-11-_a1a8ae58-d8b7-4038-aa31-bb71748231bf.html
https://www.lastampa.it/2006/08/16/esteri/sbarco-sulla-luna-la-nasa-smarrisce-il-filmato-originale-ZIYJ0llVTd0a0CNHQb8i3N/pagina.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Programma_spaziale_sovietico
Wikipedia

Fonti Video:
DVD: American Moon, un film prodotto e diretto da Massimo Mazzucco; luogocomune.net
Clip: Gli strani eroi di Apollo 11, https://www.youtube.com/watch?v=M6RXvGiVLYQ

Credit: Immagini tratte da www.comingsoon.it;http://www.meteoweb.eu/2016/04/(La Presse);
http://www.astronavepegasus.it/pegasus;http://ilgiornodellaverita.blogspot.com/2016

The Predator, la saga e…

«Nessuno gli ha mai dato un nome. 1987 Guatemala. Una squadra di corpi speciali andò nella giungla. I migliori sei uomini scelti più un’agente della CIA.
Solo uno ritornò… disse che vennero in contatto con qualcosa. La descrizione era dettagliata (omissis) gli altri furono presi ed ammazzati, uno dopo l’altro».
Questa cruenta citazione è tratta dal film Predators (N. Antal, 2010) terzo in ordine cronologico dell’ormai famosa saga, uscito a ben vent’anni di distanza da Predator 2 (S. Hopkins, 1990), séguito di un vero cult e cioè il primo Predator (J. McTiernan, 1987), quello con A. Schwarzenegger tanto per intenderci (l’unico a salvarsi), dove recitava anche un giovane Shane Black (il primo a cadere sotto i colpi del micidiale cacciatore alieno), co-sceneggiatore e regista di The Predator, uscito da poco nelle sale.
Spietati e letali come Alien, da ricordare i due crossover, Alien vs Predator (P.W.S. Anderson, 2004) e Alien vs Predator 2 (Strause Bros., 2007), ma molto più evoluti e intelligenti, con armi sempre più distruttive, ora riproposti anche potenziati dal punto di vista genetico, grazie all’ibridazione con altre specie, cacciate in ogni angolo della galassia per assicurarsi il miglior DNA e quindi un patrimonio genetico conforme alle loro caratteristiche intrinseche. Due gli elementi da sottolineare, l’ambientazione dei vari film e la forte caratterizzazione dei personaggi. Come detto il primo Predator era ambientato nella giungla e i protagonisti erano un gruppo omogeneo di soldati.
Nel secondo Predator si passa alla giungla urbana di una Los Angel sotto il controllo dei signori della droga. Il cacciatore alieno miete vittime da tutte le parti: poliziotti e spacciatori, criminali e agenti speciali. In Predators siamo ancora in una giungla, ma i malcapitati, un gruppo stavolta eterogeneo di soldati mercenari, condannati a morte e serial killer viene paracadutato su un diverso pianeta, la riserva di caccia dei Predator. Nel film di Black, un fanta horror con dettagli splatter, assistiamo ad un mix tra giungla (dove avviene una sorta di Ufo Crash, una futuristica astronave, che ricorda quasi quello di Roswell, 1947) e la città, dove stavolta agisce addirittura un Super Predator, alto quasi tre metri e mezzo, giunto sulla Terra per eliminare il primo Predator precipitato all’inizio. In tutta la saga c’è un altro filo conduttore, uno dei classici stereotipi della fantascienza, eroe maschile a parte, anche le donne qui fanno la loro parte.
Nel film dell’87 era una tenace guerrigliera, nel seguito, il secondo della saga, una tosta poliziotta, nel film di N. Antal (Predators), c’era una sniper delle truppe speciali statunitensi e in quest’ultimo una biologa che, smesso rapidamente il camice bianco, maneggia qualsiasi tipo di arma, ricordando a tratti la coraggiosa tenente Ellen Ripley (S. Weaver) di Alien.
Nel film di Black, che possiamo definire politicamente equilibrato, c’è di tutto: l’eroe è affetto da DPTS (Disturbo da stress post-traumatico), i suoi compagni per caso, sono uno più pazzo dell’altro, uno di loro è affetto addirittura dalla Sindrome di Turner, una malattia genetica molto rara, un’anomalia cromosomica, che colpisce esclusivamente le donne (ma qui è un uomo), infine il bambino autistico figlio dell’eroe, ma vero protagonista della storia. E la biologa? Essendo la prima della lista a dover essere interpellata in caso di “primo contatto”, è scortata in una base segreta dove è in atto il Progetto Stargrazers (grazers=erbivori), nome strano, ma non tanto come vedremo. Lì, per la prima volta vede l’alieno e lì scopre che i Predator, hanno un particolare codice genetico, composto anche da tratti di DNA umano! Com’è possibile? È possibile attraverso un “fenomeno” o “processo” definito Metilazione che è una modificazione epigenetica, «che si occupa dei cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo» (Wikipedia), del DNA. «Il genoma dei mammiferi è quasi del tutto metilato, a eccezione di alcun zone (omissis) ed è un fenomeno che interviene nel controllo dell’espressione genica, nell’inattivazione del cromosoma X (ecco il perché della Sindrome di Turner, nda), nella struttura cromatinica e nell’imprinting genomico» (Wikipedia).
Mammiferi, come ad esempio la pecora, che è un erbivoro, e che potrebbe, secondo studi alternativi aver subito anticamente un fenomeno identico tenuto conto che è l’unico animale al quale cresce il pelo all’infinito! Come a noi umani crescono i capelli… Chi ha permesso ciò? Solo la natura, visto che la scienza parla di stranezze, anomalie, scherzi della stessa, persino di eventi sfortunati? Come l’autismo? Una malattia, come tante altre oppure «una nuova tappa nell’evoluzione»? Intanto il bambino è l’unico a capire la tecnologia del Predator, facendo funzionare armi, computer e il casco, con il quale inavvertitamente chiama l’astronave dando inizia ad una vera caccia del Super Predator nei confronti del Predator. Quest’ultimo contrario al fatto che la sua specie vuole impossessarsi dell’intero pianeta, perché il cambiamento climatico potrebbe, nell’arco di un paio di generazioni, portare all’estinzione della razza umana e quindi, dando un’accelerata, modificare la Terra e rendendola adatta alle loro esigenze, ma salvando i tratti del nostro DNA, utili al loro scopo. Il bambino diventa l’obiettivo primario, con il suo particolare patrimonio genetico, rapito e portato sull’astronave-Arca. Quasi come se fossimo «alla fine dei tempi». L’Apocalisse.
E qui i concetti cominciano a farsi molto interessanti, più di quanto dicano espressamente le sinossi dei vari lungometraggi. Se è proprio in questo film che gli viene assegnato il nome perché «più fico», non tutti sanno che in realtà i Predator appartengono alla specie aliena (immaginaria logicamente) degli Yautja, inoltre un sito specializzato «li pone al terzo posto nella lista dei dieci alieni cinematografici più spaventosi, e fra le dieci razze aliene meglio riuscite, mentre la comunità scientifica ha nominato il ragno oonopide Predatoroonops yautia in onore della specie»(1). Personaggio creato dai fratelli Jim e John Thomas, ha avuto una difficile gestazione fino a quando nel progetto fu coinvolto il pluripremiato e rimpianto Stan Winston (suoi infatti gli effetti speciali per i sequel di Alien e Terminator, Jurassic Park, Avatar ecc.) che ne fece un vero character, ispirato da un quadro di Alan Munro raffigurante un guerriero dal forte look rastafarianesco. «Predator 2 fu il primo a mostrare l’interno di una nave Yautja, il cui disegno fu ispirato dall’architettura azteca e maya»(2). L’apice di tale concetto viene raggiunto nel primo crossover (Alien vs Predator) dove a centinaia di metri sotto l’Antartide, i protagonisti scoprono una piramide costruita secondo le conoscenze delle civiltà egizia, cambogiana e azteca, confermando in tal senso tutta una letteratura di frontiera che afferma che la nostra civiltà è stata fortemente influenzata dagli extraterrestri, e non solo a livello architettonico (le piramidi, ecc.).
Ancora più sorprendente è il termine utilizzato nel romanzo di John Shirley, dal titolo Predator: Forever Midnight, che identifica gli Yautja con la frase “Hish-qu-Ten” cioè “popolo che si impadronisce di territorio”(3). Non sono riuscito ad appurare con certezza a quale lingua appartenga la frase, sembra un misto fra l’ebraico (la scrittura) e il cinese (la fonetica), ma se facciamo finta che sia ebraico allora è possibile fare dei parallelismi, spero abbiate capito, con La Bibbia!
Premesso che il Rastafarianesimo è una vera fede religiosa quasi erede del Cristianesimo, e che «riveste una certa importanza nella tradizione della Chiesa ortodossa d’Etiopia a cui tutti i rasta fanno riferimento (omissis) è fondata sull’esempio e la predicazione (del suo fondatore, nda) Hailé Selassié I»(4). Il popolo (che popolo non era e non era nemmeno una tribù), ma un semplice clan familiare capeggiato da Giacobbe figlio di Isacco, il cui secondo nome era Israele (e da qui la confusione, nda) che, con la guerra, riuscì a conquistare solo dei piccoli pezzi di territorio con l’aiuto di Yawhew. Ora se consideriamo il termine “hish” un nome collettivo (popolo), ancora in ebraico “ish” semplicemente significa “uomo”.
Yawhew, l’Elohim (plurale) fatto diventare “Dio”, viene definito: “ish milchamàh” (Esodo 15,3), letteralmente “uomo di guerra”. Uomo. Non Dio. Probabilmente c’è più (fanta)scienza nel nostro passato che nel nostro immediato futuro.

Nota dell’autore:
Dove non specificato le citazioni sono tratte dal film.

Note:
1. https://it.wikipedia.org/wiki/Yautja
2. idem
3. idem
4. https://it.wikipedia.org/wiki/Rastafarianesimo

Fonti:
1. https://it.wikipedia.org/wiki/Yautja
2. https://www.comingsoon.it/film/the-predator/54399/recensione/
3. https://www.mymovies.it/film/2018/predator/
4. http://www.fantascienza.com/24049/the-predator-e-nelle-sale
5. https://it.wikipedia.org/wiki/The_Predator_(film)
6. Wikipedia

Credit: immagine tratta da https://www.mymovies.it/film/2018/predator/poster/1/

Oil For Food, un altro gioco di potere

Giochi di potere, una frase talmente abusata (nel cinema il ricordo non può non andare al famoso film con H. Ford, tratto dal romanzo di Tom Clancy e diretto da P. Noyce nel 1992), da diventare un must. Come ad esempio Non aprite quella porta (T. Hooper, 1974), solo che qui, nel film diretto da Per Fly, non ci sono porte da aprire (come le portiere dell’auto che inevitabilmente esplode), ma i classici scatoloni negli immancabili archivi segreti, il mitico vaso di Pandora, che oggi è, l’innocua, in apparenza, imprescindibile chiavetta USB: «in democrazia, la verità non dovrebbe basarsi sui fatti (o sulle scartoffie, nda), ma sul consenso generale».
Gli elementi del plot (come nel film con H. Ford), sono sempre gli stessi: intrighi internazionali, analisti, diplomatici veri o presunti tali, l’alibi del terrorismo che non dovrebbe fare più notizia, tanto è sputtanato e l’onnipresente CIA, la Central Intelligence Agency americana. Ma al contrario del film con il protagonista di Indiana Jones, manca completamente l’azione, tanto che a tratti il thriller politico (ma anche spy e love story), usa lo stesso linguaggio di un docufilm, comunque intriso di sotterfugi, della corruzione ai più alti livelli, e delle parcelle, del trucco che c’è e si vede, fino al gioco, delle tre carte, con la mano che nasconde, invano, la carta vincente; delle menzogne, grandi, tragiche, della politica usata come ponte nella più infame delle triangolazioni, per unire guerra, petrolio e denaro.
Tanto denaro. Solo che stavolta, e non è l’unica (vedi il film Hotel Rwanda, T. George, 2004), l’affairé è sotto il bene placido, o comunque sotto l’omertoso silenzio, perlomeno diretto, da un alto esponente dell’ONU! Capace perfino di piangere le cosiddette lacrime di coccodrillo. Il film infatti, ruota intorno al piano, sotto il regime di Saddam Hussein, conosciuto come Oil For Food (= “petrolio in cambio di cibo”), «attivato dalle Nazioni Unite nel 1995 (con la risoluzione n. 986) e terminato nel 2003, puntava a permettere all’Iraq di vendere petrolio nel mercato mondiale in cambio di cibomedicine, e altre necessità umanitarie indirizzate alla popolazione irachena senza per questo agevolare l’Iraq nella ricostruzione del proprio esercito»(Wikipedia).
Difficile e logico aspettarsi che non sarebbe andato tutto liscio. Il giovane protagonista (Theo James), è il diplomatico mandato a coordinare il programma dal suo capo, il sottosegretario UN (Ben Kingsley) in Iraq, dopo l’invasione americana. Oltre alle difficoltà interne proprie di un sistema corrotto che si alimenta con cinismo e omertà ed esterne, tra minacce più o meno velate, e il pericolo che venisse scambiato per una spia (a dimostrazione del fatto che oggi il confine tra l’essere un diplomatico o un agente operativo è sempre più labile, come dimostrano diversi fatti di cronaca), egli riesce a scoprire gli altarini, non senza rimetterci, e dove appunto intorno all’altare non ci sono chierichetti, ma spietati individui e sul sacro desco non c’è pane e vino, ma gli introiti in tutte le salse, provenienti dalla vendita delle stesse risorse al mercato nero, lasciando alla popolazione bisognosa, cibo scarso e medicinali scaduti.
Facendo una rapida panoramica, chi trama nell’ombra, come iene travestite da agnelli (il film ne è pieno), riesce a far man bassa ad occhi chiusi. La guerra in Iraq è stata pura invenzione, le armi di distruzione di massa non sono mai esistite; l’esportazione della democrazia, con la forza, che è solo parvenza data l’imposizione di un sovrano fantoccio, e la ricostruzione dei luoghi da loro stessi distrutti con le armi (con la loro vendita, magari in altre zone, a tutte le fazioni in lotta), intelligenti che uccidono solo i cattivi; disponibilità e sfruttamento illimitato del petrolio e infine la speculazione sulle risorse, sui beni di prima necessità, ad una popolazione da loro stessi decimata.
Il più grande scandalo che investì le NU, e che arrivò a colpire tutta la Comunità Internazionale, Italia compresa, si ispira al libro Backstabbing for Beginners: My Crash Course in International Diplomacy, le memorie di Michael Soussan diplomatico ONU, nella finzione, papà del giovane protagonista, il quale ricorda che il padre credeva che i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, seduti al tavolo rotondo, ricordassero i Cavalieri della Tavola Rotonda. Come nelle favole. Ma questa raccontata nel film, purtroppo è storia vera.

Fonti
https://www.mymovies.it/film/2018/backstabbingforbeginners/
https://www.mymovies.it/cinemanews/2018/154671/

Maria Maddalena: il 13° Apostolo

Acqua e Spirito. Nonostante il termine ebraico Ruach, non significhi Spirito, sono alcune delle prime parole del Libro della Genesi e i due concetti più ricorrenti nel film Maria Maddalena: «un ritratto autentico e umano di una delle più enigmatiche e incomprese figure spirituali della storia»(1). Sebbene la figura della Maddalena (da Magdala, la città da cui proveniva) al cinema non sia stata mai ben tratteggiata, il film di Garth Davis, al contrario di altre opere tipo la Maria Maddalena di Raffaele Mertes (2000) e anche la Mary di Abel Ferrara (2005), o The Passion (M. Gibson, 2004), come ne L’ultima tentazione di Cristo (M. Scorsese, 1988), trascende i concetti ai quali siamo stati, forzatamente e falsamente, abituati. L’opera di Davis è il giusto mix tra sentimento, dolcezza e spiritualità, nella prima parte e rabbia, lotta e Passione, nella seconda. La sequenza iniziale colpisce e penetra nel profondo: Maria Maddalena è immersa nell’acqua, dalla quale si lascia avvolgere delicatamente, per poi affrontare la vita di tutti i giorni, sottomessa al padre e soprattutto al primo fratello; aiuta la levatrice in un difficile parto, calmando la partoriente accarezzandola e fissandola negli occhi, denotando una forte presenza di spirito. Fino a quando incontra lo sguardo ieratico, improntato a un senso grave e solenne di sacralità, di Gesù. Da rilevare è l’ottima prova degli attori: il Messia interpretato da Joaquin Phoenix (l’imperatore Commodo ne il Gladiatore), per il quale gli elogi ormai si sprecano e la convincente Rooney Mara, alla seconda collaborazione con il regista australiano, nel ruolo della Maddalena, il cui volto, delicato, è spesso, un po’ per pudore, a rimarcare la condizione della donna a quei tempi, incorniciato nel suo velo. La perfetta ricostruzione dei costumi, dei luoghi (i “sassi” di Matera sono imprescindibili), i paesaggi, le albe vivide di una luce particolare, riproposta, con un uso sapiente della fotografia, ad hoc negli interni quasi con la maestria del Caravaggio (e vi assicuro che il paragone non è irriverente), fanno di ciascuna scena un quadro come se fosse ogni «immagine su di un vetro» (Pietro, che racconta la sua a vita a Maria Maddalena) o appunto, su una tela. Maria Maddalena non è la Prostituta(2), né da lei sono usciti «sette demoni»(3), entrata in punta di piedi fra i Dodici Apostoli, riesce pian piano, con la sua semplicità e umiltà a scalarne la gerarchia, fino a diventare una sorta di alter ego per il Cristo, tanto che questi arriva a chiederle, poco prima di arrivare a Gerusalemme: «Che cosa devo insegnare?». Questo lascia supporre che Gesù l’aveva in forte considerazione; nel Vangelo apocrifo di Filippo, c’è scritto: «La compagna del Figlio è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e spesso la baciava sulla bocca». Frase altamente controversa, che ha suscitato scalpore, insinuando il dubbio che la loro unione non fosse solo “sacra”, ma carnale. Si discute da sempre se Gesù fosse sposato o meno: storicamente, per la tradizione ebraica, il Maestro (Rabbì) non poteva non essere un uomo sposato -altrimenti chi gli avrebbe dato credito se non avesse avuto nemmeno una moglie? Addirittura i Templari attestano una discendenza, della “sposa”, il vero Sacro Graal, di Cristo, e del viaggio che ella intraprese per raggiungere il sud della Francia (secondo la leggenda, il suo cranio è conservato in una Basilica a lei consacrata nei pressi di Marsiglia).
È Gesù stesso a Battezzarla; «compagna» del Cristo, lei si siede alla destra del Figlio per l’Ultima Cena (proprio come nel Cenacolo di Leonardo), è lei che scopre il Tradimento nelle parole e negli occhi di Giuda; è lei la prima «Testimone» della presunta Resurrezione (riportata solo nei Vangeli canonici, il Vangelo apocrifo di Pietro, al quale i fedeli non devono credere, dice tutt’altro), portatrice del Logos, “Apostola degli Apostoli”(4), perché, nel corso dei secoli, è stata così bistrattata?
Gesù le ha lasciato un altro messaggio esoterico, in antitesi con la tradizione ebraica? «Ha forse egli parlato in segreto a una donna prima che a noi e non invece apertamente? Ci dobbiamo ricredere tutti e ascoltare lei? Forse egli l’ha anteposta a noi?» si legge proprio nel Vangelo gnostico di Maria Maddalena.
«Forse abbiamo frainteso» perché tutto «Va al di là della nostra comprensione» (sono frasi che lei pronuncia nel film) -può darsi, ma «La Dea occulta del Cristianesimo»(5) come mai non è diventata la Pietra fondatrice della Chiesa? Semplice. Per volere dei cosiddetti “Padri della Chiesa”, della loro ossessiva visione maschilista; quasi cancellata dalla storia, deliberatamente con un pensiero imposto. Gesù, dal film, ci ricorda che: «Siamo proprietari del nostro spirito», uno spirito che è stato soffocato. Nel toccante e bellissimo dialogo finale, quando la Maddalena porta l’Annuncio della Resurrezione, lo stesso cerca di fare Pietro nei suoi confronti: «Non resterò in silenzio, mi ascolteranno», purtroppo così non è stato.

Note:
1.https://www.comingsoon.it/cinema/news/maria-maddalena-rooney-mara-e-joaquin-phoenix-nel-poster-italiano/n73865/
2. L’accostamento tra Maria Maddalena e l’adultera redenta risale in realtà al 591, quando Papa Gregorio Magno, basandosi su alcune tradizioni orientali, in un suo sermone identificò le due figure.
In https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Maddalena
3. Vangelo secondo Luca (8, 2-3).
4. Definizione del teologo Ippolito Romano (170-235 d.C.). Appellativo ripreso da Papa Francesco nel 2016.
5. Maria Maddalena. La Dea occulta del Cristianesimo, Lynn Picknett, L’Età dell’Acquario Editore, 2005.

Fonti:
https://www.mymovies.it/film/2018/marymagdalene/
http://www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=91&page=9
http://www.gliscritti.it/approf/2008/papers/ravasi100508.htm
https://giuseppemerlino.wordpress.com/2014/04/27/maria-maddalena-e-linsegnamento-segreto-di-cristo/
http://www.duepassinelmistero.com/maria_di_magdala_ed_il_grande_se.htm
https://www.mymovies.it/film/2018/marymagdalene/pubblico/?id=779096
https://www.comingsoon.it/cinema/news/maria-maddalena-il-nuovo-trailer-italiano-del-film-con-rooney-mara-e/n75541/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/la-maria-maddalena-di-rooney-mara-insieme-ad-alcune-delle-donne-piu-forti/n75741/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/maria-maddalena-una-clip-italiana-esclusiva-del-film-con-rooney-mara/n76256/
https://www.comingsoon.it/cinema/interviste/rooney-mara-e-maria-maddalena-il-nostro-incontro-con-la-protagonista-del/n76453/

credit: immagini tratte da www.comingsoon.it

La forma nell’acqua

Il film The Shape of Water tradotto letteralmente La forma dell’acqua, un fantasy prodotto e diretto da Guillermo Del Toro, ha trionfato alla scorsa notte degli Oscar aggiudicandosi ben quattro statuette (Miglior Film, Regia, Colonna Sonora e Scenografia), oltre a ricevere diversi riconoscimenti un po’ in tutto il mondo, Golden Globe compreso e già vincitore a sorpresa del Leone d’Oro a Venezia. Fantasy si diceva; Del Toro, infatti, sembra essere molto ispirato quando si confronta con tematiche del genere, suoi infatti HellBoy (2004) e il Labirinto del fauno (2006), qui trattasi invece di una rivisitazione, certo più raffinata, ma non tanto, de La Bella e la Bestia, anche se la Bella («la principessa senza voce») non è poi così bella e la Bestia, o il Mostro o la Creatura, come viene chiamata, non è poi così mostro, ma questo vale solo per chi vuole guardarne l’esteriorità. Ed è questo il fulcro principale, l’essenza di tutta l’opera, densa di citazioni, la cui azione si svolge in America, negli anni successivi al secondo dopo guerra, in clima di guerra fredda, del famoso telefono rosso e degli scontri razziali.
In un oscuro laboratorio denominato “Occam” (un riferimento al famoso Rasoio di Occam?) viene portata e tenuta incatenata in una grossa vasca, una strana creatura, «tirata fuori dal fango di un fiume» in Amazzonia, adorata come un Dio dalle popolazioni indigene. Qui si può fare una prima, importante considerazione, la creatura quindi non è un esperimento genetico, ma viveva libera in natura, quindi creata dalla natura stessa. Una forma di vita ancora non conosciuta dalla scienza? Non credete che sia la solita frase fantascientifica, molte sono le testimonianze e rapporti anche ufficiali (segreti) di strane creature avvistate in tutto il mondo.
Nel caso specifico l’umanoide è una sorta di sirenoide, senza però la caratteristica coda, ma con gambe e braccia e se ancora credete che certi esseri non esistono allora consultate gli studi di Suzanne Husky sulle sue sirene, oppure ascoltate le testimonianze del controverso ricercatore Paul Robertson e guardatevi, su You Tube, il filmato Discovery Channel, ritenuto da molti falso, vedere per credere.
L’essere è intelligente, riesce a comunicare, a provare sentimenti, inoltre ha incredibili capacità pranoterapeutiche, azzarderei quasi taumaturgiche, ecco perché veniva considerato un Dio. Ma entrando più nel vivo della storia gli americani sono interessati allo studio della Bestia perché è anfibia, cioè può respirare, anche se per breve tempo, fuori dall’acqua e ciò potrebbe essere utile nell’ottica di mandare il primo uomo nello spazio, visto che i russi, in vantaggio, avevano appena lì spedito la cagnolina Laika. E i russi intenzionati ad evitare che questo avvenga vogliono sabotare l’operazione, con l’aiuto di una talpa, il cui comportamento (nel film i personaggi sono molto ben caratterizzati), si rivelerà sorprendente quando le due fazioni, stranamente d’accordo, anche se su posizioni diametralmente opposte, decidono di eliminare il mostro. Ma a sabotare e a sconvolgere i piani delle due superpotenze sarà una semplice inserviente, muta, la principessa senza voce, una trovatella salvata dalle acque, che per questo motivo, si sente vicina all’essere, ne è attratta perché si riconosce, comprende la sua diversità che le è affine, e candidamente, nel linguaggio dei segni, confessa: «lui mi completa», perché è capace di guardare oltre, oltre l’esteriorità ed arrivare all’anima (e qui ci attribuiamo una nota di merito perché è lo stesso concetto espresso in un precedente post, La carne e l’anima), fino a concedersi del tutto, ad entrare, nuda, con la forma, nell’acqua elemento dal forte significato esoterico, essendo sorgente di vita. Ma l’acqua non ha forma, e come tutti sanno, assume la forma del recipiente che la contiene, quindi possiamo darle il significato (la forma) per l’appunto più semplice e, credo logica (il recipiente): in definitiva, il film parla delle diversità, della paura del diverso, dell’estraneo, che va considerato nemico e di come cercare di abbattere le barriere create ad arte da un sistema che ha come motto principale, l’ormai fin troppo abusato “divide et impera”.
«Se non facciamo niente, non siamo niente» e anche se «la vita è il fallimento dei nostri piani» ciò forse è vero, ma solo fino alla morte che, come si intuisce nel piovoso finale, è solo un passaggio.

Nota: le citazioni sono tratte dal film

Fonti:
http://www.mymovies.it/film/2017/theshapeofwater/
https://www.mymovies.it/film/2017/theshapeofwater/news/del-toro-sta-rimpiazzando-tim-burton/#b1
https://www.comingsoon.it/film/la-forma-dell-acqua/54140/recensione/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/la-forma-dell-acqua-e-la-forma-dell-amore-tra-una-strana-creatura-e-una/n75114/
http://www.fantascienza.com/23364/la-forma-dell-acqua-una-storia-di-redenzione-come-antidoto-al-cinismo-dei-nostri-tempi

Credit: immagine tratta da www.comingsoon.it

Downsizing: vivere alla grande?

«La popolazione mondiale non può crescere illimitatamente perché le risorse del nostro pianeta sono limitate»(1). Fu Thomas R. Malthus, economista inglese,  alla fine del 18° secolo, definito il “lugubre parroco”, a sostenerlo. Ed è più o meno questo il succo del discorso di apertura, tutt’altro che lugubre, dello scienziato in Downsizing, diretto da Alexander Payne. Per sopperire alla crisi del pianeta uno scienziato norvegese, attraverso un procedimento di miniaturizzazione cellulare, riesce a rimpicciolire l’essere umano fino ad un’altezza (si fa per dire) di circa 12 cm! Di modo che, per quanto riguarda i rifiuti, un mezzo sacchetto di spazzatura «contiene tutti i rifiuti prodotti da 36 persone nel corso di quattro anni!». Apoteosi. «Una cosa pazzesca!», esclama il protagonista Paul Safranek, un uomo qualunque, interpretato da Matt Damon, che affascinato dalla possibilità di “vivere alla grande” (un centinaio di migliaia di dollari, valgono milioni, viste le dimensioni ridotte), decide di sottoporsi, insieme alla moglie (che rifiuta all’ultimo istante), al procedimento irreversibile per andare poi a vivere a LeisureLand, la terra del tempo libero: una mini città coperta da una cupola. L’idea del ridimensionamento del film, scritto a quattro mani dallo stesso regista e da Jim Taylor, non è del tutto originale: in letteratura fu Kurt Vonnegut a parlarne nel suo romanzo Comica Finale (1976); al cinema ricordiamo tra gli altri il bellissimo Radiazioni BX Distruzione uomo, tratto da un romanzo di R. Matheson e diretto dal grande Jack Arnold nel 1957, e il divertente Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (J. Johnston, 1989), dove un piccolo gruppo di adolescenti, rimpiccioliti dal padre scienziato, si ritrovano catapultati nel giardino di casa che, date le loro dimensioni ridotte, diventa una vera giungla dove tutto è un potenziale pericolo, persino gli insetti. Ed ecco il perché della cupola a protezione della città in miniatura che ricorda la Pleasantville  di Gary Ross (1998), bianco/nero a parte, la perfezione è solo apparenza perché, il protagonista dopo aver conosciuto Ngoc Lan Tran (l’attrice Chau Hong), dissidente vietnamita che ha perso una gamba partecipando ad un’azione terroristica, altro contro concettuale, con i terroristi nascosti in una scatola per la tv, appena fuori dalla cupola, quindi a cielo aperto, scopre la periferia della città oltremodo identica a quella di ogni altra città maxi. Un coacervo di persone che, al solito, lotta ogni giorno per sopravvivere. Nulla è cambiato.

una scena del film

Per tanto è possibile dividere l’opera di Payne in tre fasi distinte, la prima fantascientifica, con verosimili effetti speciali, dove se da un lato non mancano le dichiarazioni entusiastiche di chi crede che il ridimensionamento sia l’unica soluzione per tutti i mali che affliggono il pianeta, da un lato c’è chi si chiede se i “Mini” dovrebbero avere gli stessi diritti dei “Maxi”, viste le diverse dimensioni, voto incluso. «Possono rimpicciolire le persone, possono andare su Marte, ma non possono curare la mia fibromialgia!», sentenzia la mamma di Paul, quindi il tutto è solo un modo «per fare soldi», replica l’amico. Curiosa la scena dove i piccoli corpi, poggiati sull’enorme letto, vengono raccolti, delicatamente, con una sorta di paletta… Verrebbe da chiedersi, se ci fosse un pazzo, quanto tempo impiegherebbe ad usare quella paletta in modo diverso…
La seconda, forse un po’ lunga, risulta propedeutica per la terza parte, dove il film sembra completamente virare su concetti tutt’altro che fantascientifici che, come un prestabilito colpo di scena, non sembravano essere nelle corde della pellicola stessa: l’estinzione della specie umana.
Quando il protagonista va in Norvegia, ospite della colonia primaria, scopre che la notizia, apparentemente insignificante di una fuoriuscita di gas metano in Antartide(!), non contenuta, porterà all’estinzione dell’uomo sulla Terra entro una o al massimo due generazioni. Suggestiva la scena del saluto all’ultimo tramonto, quando il sole scompare alla vista di quanti hanno deciso di rinchiudersi in un rifugio che li potrà ospitare per qualche migliaio d’anni. Alla fine qual è la morale? La morale è che sì, l’uomo si dovrebbe ridimensionare, ma certo non in altezza, così l’umanità tornerebbe più sostenibile per la Terra che non sarebbe più un Paradiso Amaro(2).

Note:
1. I. Robertson, Sociologia, Bologna, Zanichelli, 1988.
2. di A. Payne, 2011, Premio Oscar miglior sceneggiatura non originale (2012).

Fonti:
http://www.mymovies.it/film/2017/downsizing/
http://www.mymovies.it/film/imperdibili/2018/
https://www.mymovies.it/film/2017/downsizing/news/tutte-le-dimensioni-del-cinema/
http://www.mymovies.it/film/2017/downsizing/rassegnastampa/776105/
http://www.fantascienza.com/23255/downsizing-vivere-alla-grande-nelle-sale

Credit: foto tratte da www.mymovies.it

Verificato da MonsterInsights