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Da un altro mondo

Da un altro mondo: Incontri straordinari con esseri extraordinari. Incarnazioni umane per esseri che sono umani solo all’apparenza, non certo il famoso ET oppure il classico alieno grigio; come ci comporteremmo se dovessimo fare, nella realtà, un incontro del genere. Saranno buoni o cattivi? Quale sarà il loro concetto di bene e male? Da K-Pax a La Cosa, passando per Starman, Phenomenon, Powder, L’uomo che cadde sulla Terra e Fratello di un altro pianeta, uno sguardo verso l’ignoto e i suoi abitanti che a volte si palesano ai nostri occhi azzerando le distanze che ci dividono…Da un altro mondo. Nuova puntata di Visioni dal Futuro in compagnia di Giuseppe Nardoianni, ricercatore e critico cinematografico che ci guiderà nell’esplorazione di questo multiforme universo, approfondendone i molteplici aspetti, le tante curiosità, e rispondendo alle vostre domande. Benvenuti nel nostro salotto virtuale nel quale si indaga il noto cercando di svelare l’ignoto anche, perché no, con un pizzico di ironia.

Buona Visione

Megalopolis

Nel 1940 New York diventa la prima Megalopoli sulla Terra: una City con più di 10 milioni di abitanti. Una Metropoli, invece identifica una città con più di un milione di cittadini. Oggi, sparse per il mondo, ci sono una ventina di megalopoli, una decina -e non poteva essere altrimenti, proprio negli USA.
Il termine “Mega” però, rimanda ad un altro vocabolo, relativo ai cosiddetti Future Studies e cioè “Megatrends” che, in caratteri generali, descrivono i processi in grado di produrre cambiamenti a livello globale sul lungo periodo (anche più di una generazione), spesso legati a fattori strutturali quali: ambiente, demografia, energia, lavoro, innovazione scientifica e tecnologica. E qual’è il termine che, in un certo senso, li racchiude tutti? Avete indovinato: la città. Megalopolis.
Il nuovo film di Francis Ford Coppola (2 Premi Oscar), da poco nelle sale, è, a suo dire, una favola iniziata ben 45 anni fa, mentre scriveva la sceneggiatura per Apocalypse Now (Coppola è autore anche della saga de Il Padrino), che solo adesso dopo aver superato diverse vicissitudini ha portato a compimento.
Il film è un’utopia incastrata tra futuro, il materiale da costruzione, il Megalon, inventato dal protagonista e il passato visto che New York, diviene New Rome, non solo per i nomi (Cesar, Cicero, Crasso, ecc.), per i vestiti e i mònili dal gusto quasi retrò-imperiale; fino alla decadenza, rappresentata dalle enormi statue in marmo che prima si animano per poi cadere a pezzi, e la rinascita con i bozzetti della città futura, da ricostruire dopo una catastrofe, che in realtà non lo è più di tanto.
Il cinema di fantascienza, ci ha più volte mostrato, in ogni aspetto possibile, la città del futuro, mega facce, ma un solo scopo: riuscire a viverci. William Gibson, padre indiscusso del Cyberpunk, disse: «Non scrivo del futuro, scrivo della realtà contemporanea. È in posti reali, senza leggere fantascienza, che mi sono sentito più vicino al futuro, a Singapore, per esempio, a Berlino Est, Hong Kong, Città del Messico. Ovunque la vita sia diventata un’esperienza così estrema che se dovessi viverci io, passerei il tempo urlando» (s.f.).
Vista la situazione attuale, concetto ineccepibile, ma, ed è ciò che si chiede il protagonista -che sembra comandare il tempo, l’architetto Cesar Catilina/A. Driver): «Questa società, questo modo di vivere, sono gli unici possibili?». Certo che no o, quanto meno, forse.
Nel film 2022: i Sopravvissuti: New York è una super megalopoli da 40 milioni di abitanti, le case non bastano più, la gente è allo stremo, dorme dove capita, niente letti, poca acqua, scarsissime risorse di cibo, da una parte e, al solito, di tutto di più per i pochi ricchi… Il capolavoro di R. Fleischer (1973), viene spesso menzionato, soprattutto quando si tirano in ballo le teorie malthusiane. E come non citare, il capolavoro del cinema muto Metropolis (F. Lang, 1927), anche qui, in un futuro distopico (siamo nel 2026, cento anni avanti), un gruppo di potenti industriali governa la città, tiranneggiando sulla classe operaia costretta al continuo lavoro, relegata nel sottosuolo cittadino. Scenografia e fondali suggestivi, futuristici quindi per l’epoca e scene dal ritmo martellante come la famosa sequenza degli operai che si avviano, con l’identico passo ritmato a lavoro, immagine immortalata nel video Radio Gaga dei Queen. Classico esempio di città utopistica è la, anch’essa super megalopoli di Demolition Man (M. Brambilla, 1993), dopo uno spaventoso terremoto, la vecchia Los Angeles ha assorbito le città vicine di San Diego e Santa Barbara, diventando San Angeles, dove si vive, seppur in libertà, con regole assurde, -non è permesso nessun tipo di contatto fisico, sempre divisa in due: sopra i cittadini “modello” e sotto i “ribelli”, nelle fogne. La città degli angeli richiama, ovviamente quella di Blade Runner (R. Scott, 1982), ma anche quella violenta di Predator 2 (S. Hopkins, 1990), o la Detroit di Robocop (P. Verhoeven, 1987), entrambe sotto il dominio dei signori della droga.
E, in questo breve elenco, ma solo per non dilungarci troppo, visto che stiamo parlando della “grande mela”, una menzione, va al film 1997: fuga da New York (J. Carpenter, 1981), dove Manhattan è diventata una città prigione.
Potremmo continuare, perché poi ci sono quelle immaginarie, come le città di Capitol City (saga di Hunger Games), Dark City (A. Proyas, 1988), la Gotham City, della saga di Batman, fino alle simulazioni virtuali come la Los Angeles del 1937 nel film Il Tredicesimo Piano (J. Rusnak, 2000). Ma la fantascienza non è solo “la città”, i suoi must sono anche l’eroe, la donna (quasi sempre da salvare), l’alieno, il robot, il computer e lo scienziato (pazzo o no, fate voi). Volutamente tutto questo non c’è nel film del regista Italo-americano, almeno non nei termini indicati dalla FS, e più che una favola, a tratti sembra una sorta di Grande Bellezza, ma senza l’iperbole del film, premio Oscar, di P. Sorrentino.
Certo c’è l’incredibile materiale inventato dall’architetto che è, se vogliamo, l’unico elemento fantascientifico perché è polivalente, infatti può essere usato indifferentemente come materiale da costruzione, che in medicina e chirurgia come ristrutturazione di organi. Inoltre Coppola, come accennato fa largo uso di bozzetti, furbescamente induce lo spettatore ad immaginare, quindi senza uso di nessun green screen o CGI, che dir si voglia, in un connubio trans mediale tra fumetto e cinema.
Poco da dire infine sulla trama: l’intramontabile gioco a tre, padre-figlia-fidanzato, e le varie lotte, intestine o meno per il potere, con il più classico degli happy end.
Ma l’autore, semina, durante le due e passa ore di visione, una serie di mòniti lungo la strada: «Non lasciate che l’oggi distrugga il per sempre». E se è possibile creare il nostro futuro (il bambino che nasce appunto nel finale, mettendo tutti d’accordo), sei libero solo se «fai un salto nell’ignoto» (intervista a Domenica in).
L’ignoto, ecco il vero Megatrend della razza umana, puerile negare che il futuro è incerto, e non senza rischi, ma è lì davanti a noi, possiamo continuare a sognare, ce lo possiamo (ri)prendere, facendo sì enormi sacrifici ora, per poi magari, afferrare per davvero la Luna.

 

Fonti:
https://www.fantascienza.com/29618/megalopolis-quello-che-sappiamo-per-ora-sul-nuovo-film-di-coppola
https://www.fantascienza.com/30175/ecco-il-nuovo-trailer-di-megalopolis-stavolta-senza-citazioni-false
https://www.fantascienza.com/30256/megalopolis-il-progetto-piu-ambizioso-di-coppola-arriva-oggi-al-cinema
https://www.fantascienza.com/29859/megalopolis-di-francis-ford-coppola-esordira-al-festival-di-cannes
https://www.mymovies.it/film/2024/megalopolis/rassegnastampa/1726248/
https://www.mymovies.it/film/2024/megalopolis/
https://www.comingsoon.it/cinema/interviste/francis-ford-coppola-il-cinema-senza-limiti-il-mondo-senza-confini/n189269/
https://www.comingsoon.it/cinema/interviste/francis-ford-coppola-il-cinema-senza-limiti-il-mondo-senza-confini/n189269/#google_vignette
https://www.comingsoon.it/film/megalopolis/58373/recensione/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/megalopolis-proiettato-per-i-distributori-arrivano-le-prime-indiscrezioni/n176905/
https://www.comingsoon.it/film/megalopolis/58373/scheda/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/megalopolis-francis-ford-coppola-e-la-verita-sui-collaboratori-che-ha/n186970/ – google_vignette
https://www.comingsoon.it/cinema/news/megalopolis-un-nuovo-trailer-ancora-piu-visionario-e-barocco-dei-precedenti/n187180/
https://www.wired.it/gallery/20-citta-immaginarie-straordinarie-cinema-serie-tv/

credit:
https://www.mymovies.it/film/2024/megalopolis/poster/0/

Dove sono tutti quanti?

È quello che si chiese Enrico Fermi a Los Alamos, parlando con alcuni colleghi, divenuto poi celebre come il “Paradosso di Fermi”. Inizia così questa nuova diretta sul canale “Frontiere Proibite”, gestito dall’amico Roberto La Paglia e condotta con Salvatore Giusa. L’episodio, il primo per la serie “Visioni dal Futuro”, ci porterà alla scoperta del cinema di Fantascienza e delle sue connessioni con la realtà. In questa puntata siamo partiti dagli scenari evocati dalla “Scala di Kardashev” e dalle “Sfere di Dyson”, per concludere con uno dei film più belli, importanti e significativi degli ultimi anni: “Arrival”, diretto da D. Villeneuve nel 2016. Quindi partendo da basi scientifiche, certe ed accreditate, cercheremo ancora una volta di indagare il noto per svelare l’ignoto.

Buona visione!

Alien Romulus

Ricordo ancora, a distanza di molti anni -da ragazzo, quando vidi l’Alien primigenio, il cult di Ridley Scott, la prima volta in tv. La musica «atonale», ancora oggi ansiogena e disorientante; il logo (title design), che appare poco alla volta, stanghetta dopo stanghetta, fino a formare il titolo, e l’intera parola che, per gli appassionati rappresenta la summa di tutto l’orrore che in esso è contenuto, ma anche la meraviglia, il sense of wonder che caratterizza tutti i film di Fantascienza.
In un altro post, ho parlato diffusamente della saga che consta di 5 film, questo compreso, di due prequel e di due crossover, con l’altra grande minaccia dell’universo fantascientifico: Predator.
Tornando alla mia prima visione, rammento soprattutto l’adrenalina che saliva, la soggettiva -che portava ad immaginare di essere lì, nell’astronave immacolata, asettica, poi diventata «il buio antro entro cui il male risiede», e la curiosità mista alla spasmodica attesa: in che modo si sarebbe mostrato l’Alien?
Ora immaginate una sorta di «ultima cena»(1), in un enorme vascello spaziale commerciale, in una regione sconosciuta nello spazio profondo, «La prima cosa che farò quando tornerò sulla Terra, è di mangiare un piatto delle mie parti…», sono le ultime parole di J. Hurt/Kane, prima che il baby Alien gli squarciasse il petto, sotto lo sguardo che è difficile definire, dei suoi sventurati compagni di viaggio. Una scena entrata di diritto tra le più horror del cinema di FS: terrorizzante, spaventosa, incredibile; mi ci volle un buon cordiale per riprendermi. A dirla tutta, R. Scott (in Romulus solo produttore), ha svelato in seguito che in realtà, gli altri attori non sapevano bene quello che sarebbe successo nella scena madre, per aumentarne maggiormente il realismo: missione compiuta. Anche se poi, con l’avvento della CGI, nei due prequel Prometheus (2012) e Covenant (2017), l’Alien trova altre vie per venire al mondo, in un tripudio splatter.
Con gli anni, mai avrei pensato di passare, da semplice spettatore, ad occuparmi, con tanta passione, di cinema di fantascienza: destino? O più semplicemente vita?.. E, di fatti «La vita và verso la vita», l’essenza stessa della fantascienza, è in realtà una delle tagline del film Mission to Mars (B. De Palma, 2000) che è anche una delle prime recensioni che scrissi sulla rivista Stargate, per chi la ricorda, un film dal finale bellissimo, sorprendente, evocativo. Qui, nel film di Fede Alvarez (La casa, 2013) la tagline è: «Erano in cerca di nuova vita, l’hanno trovata e lei ha trovato loro!». Ed è quel lei ha trovato loro, ma sarebbe stato meglio identificarla con “essa”, vista la natura “xeno”(2) della creatura, che richiama, di conseguenza, la stessa paura alla visione del film uscito nell’ormai lontano 1979.
Non ci sono attori famosi -forse lo diventeranno, ma tutte giovani promesse, alcuni con discrete esperienze alle spalle, forse Alvarez vuole dirci che essendo giovani sono meno pronti a morire? Quindi adatti a contrastare la più seria minaccia, alla specie umana, proveniente dallo spazio? Primo Alien prodotto dalla Disney, un midquel ambientato tra i primi due film e solo 20 anni dopo il primo, cioè nel 2142. La pellicola, ricorda in più punti i precedenti capitoli, come una sorta di tributo: l’inizio con le luci e i computer che si avviano, Alien, con tanto di androide con le fattezze, ringiovanite dell’ufficiale scientifico Ash (l’attore I. Holm), il suo mezzo busto e i ragazzi armati, i Marines di Aliens-Scontro finale (J. Cameron, 1986); Alien3 (D. Fincher, 1992), perché ambientato in una stazione spaziale abbandonata, come il pianeta prigione (Fury 161) e Alien-La Clonazione (J.P. Jeunet, 1997) nel finale, con la nascita dell’ibrido umano alieno. La protagonista, inoltre è fin troppo simile, in alcuni tratti, al tenente Ripley (S. Weaver), dialoghi e ultima registrazione audio compresi. Due i punti, in un certo senso, più originali rispetto ai contenuti dei film che l’hanno preceduto. Alvarez ha cercato di creare un mondo, che è la colonia dove vivono i ragazzi, un mondo però dove non c’è mai la luce del sole, un mondo multirazziale, caotico, oscuro, accostarlo alla Los Angeles di Blade Runner, non credo sia azzardato. Non solo, ma i ragazzi provano emozioni, emozioni vere, sono quasi empatici: Rain (C. Spaeny) -anche in questo capitolo l’eroe è donna, ama come un fratello il suo androide, nulla a che vedere, quindi con l’equipaggio della Nostromo, sebbene multietnico, ma roso da contrasti interni, i Marines di Scontro Finale, i prigionieri di Fury… ecc. anche se il piccolo gruppo combatte strenuamente, sia come i militari, che come lo scaltro equipaggio della Betty, nel quarto capitolo. E se la nave spaziale militare, dove vennero condotti esperimenti di clonazione (Ripley clonata ben otto volte!), è simile sia alla Renaissance e ad una sorta di Deep Space Nine (Star Trek), ma abbandonata, divisa in due sezioni, la Romulus (dove si trovano i facehugger), e Remus, dove venivano condotti esperimenti genetici, con tanto di bassorilievo sulla porta d’ingresso, raffigurante i due piccoli allattati dalla lupa.
Gli scienziati della stazione, ormai un relitto avviato alla distruzione, hanno estratto dagli xenomorfi un «fluido sperimentale» lo «Z-01», o «ceppo Prometheus» così come lo chiama Rook, l’androide malridotto riavviato dai ragazzi, quando penetrano nel cuore della stazione stessa. Ecco svelato, ancora una volta, l’intento segreto della Weyland Yutani, la famigerata Compagnia, l’ombra minacciosa sull’intera saga, per dare all’uomo le caratteristiche degli alieni e la loro capacità di vivere soprattutto in condizioni estreme: l’ultimo atto(?), sul quale ritorneremo visto il collegamento con Prometheus e sul suo dono (il Fuoco di Prometeo), qui nella sua visione estrema, la mutazione genetica, evidentemente per creare un «super soldato» (X-Files), l’arma biologica perfetta. «La verità è là fuori», ma là fuori, nello spazio profondo, nessuno può sentirti urlare.

 

Note:

1.https://www.fantascienza.com/22224/alien-covenant-ecco-l-ultima-cena
2.https://it.wikipedia.org/wiki/Xenomorfo

AltreFonti:

https://www.fantascienza.com/30084/ultimo-trailer-per-alien-romulus-l-horror-fantascientifico-in-arrivo-ad-agosto
https://www.fantascienza.com/28685/alien-c-e-il-cast-e-si-parte-con-le-riprese
https://www.fantascienza.com/28381/alien-i-primi-dettagli-sul-nuovo-film
https://www.fantascienza.com/28938/alien-romulus-i-nuovi-dettagli-sul-prossimo-capitolo-della-saga
https://www.comingsoon.it/cinema/news/alien-romulus-il-regista-motiva-la-scelta-di-un-cast-giovane-sono-piu/n185362/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/alien-ridley-scott-voleva-un-finale-completamente-diverso-e-raccapricciante/n185355/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/i-facehugger-sono-tornati-l-agghiacciante-trailer-italiano-di-alien-romulus/n185562/
https://www.mymovies.it/film/2024/alien-romulus/
https://it.wikipedia.org/wiki/Alien:_Romulus
https://www.comingsoon.it/film/alien-romulus/63277/scheda/#curiosita-su-alien-romulus
https://www.bestmovie.it/news/alien-romulus-loscuro-motivo-per-cui-gli-attori-protagonisti-dovevano-essere-giovani/901698/
https://movieplayer.it/news/alien-romulus-prime-reazioni-positive-alien-migliore-james-cameron_145525/
https://it.wikipedia.org/wiki/Alien

credit:

https://www.mymovies.it/film/2024/alien-romulus/poster/0/

Alien Zapping

È disponibile sul canale You Tube, “Frontiere Proibite”, dell’amico Roberto La Paglia, la Live Mystery News (edizione Estate 2024), per la serie “Cose dell’Altro Mondo”, condotta con Salvatore Giusa (Centro Ufologico Siciliano), dove sono stato, gradito ospite. L’argomento scelto, per chi ama la Fantascienza, è da non perdere, ed è incentrato sulle serie televisive dedicate al mondo degli Ufo e degli alieni. Alien Zapping, è un tuffo nel passato, con un pizzico di nostalgia e di ironia, alla riscoperta di quelle serie che ci hanno tenuti incollati al televisore, fin da quando eravamo ragazzini. Da Ufo Shado, a Project Blue Book, passando da Spazio 1999 a Taken, ecc. Un viaggio tra ricordi e curiosità, ricordando che seppure in un salotto virtuale, si può indagare il noto cercando di svelare l’ignoto.

Ecco, di seguito, il link:

Buona Visione!

Fly me to the Moon

Fly me to the Moon, uscito da poco nelle sale con il sottotitolo “Le due facce della Luna”, quindi da non confondere con il film d’animazione diretto da Ben Stassen nel 2008, che narra le vicende di una mosca che sale a bordo dell’Apollo 11 e dove Buzz Aldrin dà la voce a sè stesso, che è anche il titolo del famoso brano musicale scritto da Bart Howard nel 1954 e portato al successo, tra gli altri, da Frank Sinatra, dieci anni dopo. La canzone, il cui titolo originale era in realtà In Other Words, divenuto poi famoso appunto con le prime parole del testo stesso è inserito in varie colonne sonore tra cui Space Cowboy (2000), di C. Eastwood. Tutti elementi che rendono ancora più leggendaria la storia che sta dietro alla pellicola diretta da Greg Berlanti e prodotta anche dagli Apple Studios. Da complottisti, chi di noi non sarebbe voluto essere una mosca per entrare nella navicella dell’Apollo 11 e vedere come esattamente sono andate le cose? Sono andate come ce le hanno sempre raccontate, oppure?.. Moonhoax(1) a parte, è la storia di «una missione che non può fallire, nemmeno se fallisce. In quel caso bisognerà convincere tutti che è andato tutto bene», è il giornalista della Rai, Emiliano Condò(2) a descrivere in estrema sintesi il film. Ed è dai titoli di testa che la vicenda prende le mosse: il primo satellite russo (lo Sputnik, 1957), i primi lanci, il discorso di JFK (1962), che impone all’America, nel decennio, di andare sulla Luna -altro elemento per il quale la missione non doveva fallire e, appunto il primo tragico fallimento, il rogo all’interno dell’Apollo 1, dove persero la vita i primi tre astronauti. Il film -forse ispirato a fatti reali (il soggetto è di Keenan Flynn e Bill Kirstein, mentre la sceneggiatura è stata affidata a Rose Gilroy), vede come protagonisti Scarlett Johansson (qui anche produttrice) che interpreta Kelly Jones, affermata Manager del marketing che dovrà letteralmente «vendere la Luna» al mondo e Channing Tatum/Cole Davis, dal fisico prestante, da vero astronauta, ma relegato a capo della missione per un problema cardiaco che lo costringe a rimanere a terra. Anche se non tutto sembra filare per il verso giusto, soprattutto in un clima di guerra fredda, la svolta avviene quando Woody Harrelson, che veste i panni di Moe Berkus (che risponde direttamente al Presidente Nixon), in un’altra magistrale interpretazione, assume la Johansson, per un motivo ben preciso, siccome «The Failure is not at option» (Doc. TV, 2003), urge la necessità -e questo è assolutamente concepibile, di avere un piano “B”, la realizzazione in studio del tanto vituperato falso allunaggio! Il progetto Top Secret, dove si rischia la morte solo a parlarne, denominato Artemis (la sorella di Apollo), con la regia affidata ad un amico di K. Jones, che in realtà svolge molto bene il suo compito, cioè di far sembrare reale ciò che reale non è. E qui iniziano le varie ipotesi che contribuiscono ad alimentare le tesi cospirazioniste e complottistiche. Per non entrare troppo nello specifico -le pellicole, oltre a quelle citate, che trattano l’argomento, sono molte e ci dovremmo dilungare non poco (per chi vuole approfondire, in fondo troverete i link ad altri articoli sull’argomento pubblicati su questo blog), gli elementi sono tanti: il direttore della fotografia che mostrando un solo grande faro, giustamente afferma che sulla Luna, c’è una sola fonte di luce, i cavi che sorreggono gli astronauti nei loro goffi movimenti, la bandiera che si agita, ecc. Da notare che nel film Interstellar (C. Nolan, 2014), le Missioni Apollo sono categoricamente smentite: niente sbarchi sul nostro satellite(3); di contro invece in Capricorn One (P. Hyams, 1977), lo sbarco simulato è su Marte (che molti ritengono che in realtà ci sia stato davvero), inoltre nella serie tv For All Mankind, in una storia alternativa, il primo uomo è un cosmonauta dell’Unione Sovietica! «Una verità è una verità e nessuno ci crede, una bugia è una bugia e tutti ci credono», è Kelly Jones che propone di montare una telecamera esterna perché gli americani vogliono sempre essere presenti; è lei che ispira ad Armstrong la famosa frase ed è la stessa che suggerisce di manomettere la telecamera in modo da mandare in onda il vero filmato. In realtà le cose non sono così semplici come sono state fin qui descritte, -il film è ben fatto, i protagonisti perfettamente calati nella parte e il regista che dimostra di essere a suo agio, grazie anche ad un ottimo montaggio (in alcuni frangenti il linguaggio è più da serial che da film), e si destreggia a meraviglia quando deve passare tra elementi che spaziano tra la realizzazione e la mistificazione, tra il serio e il faceto, tra il complottismo e ciò che forse è stato vero e quello che davvero era falso. Berlanti è quindi bravo a mescolare le acque, rendendole più torbide, a mischiare le carte con le quali è stato costruito il falso castello, il risultato ottenuto seppur ottimo, quindi non rischiara le tenebre, ma tra situazioni ironiche e da commedia romantica, nelle due e passa ore di visione non ci si annoia affatto.

Il Logo della NASA

[Spoiler:] Divertente la sequenza finale quando neanche loro sanno cosa sta andando in onda, visto che le immagini che arrivano dai due monitor televisivi sono quasi simili e il tutto viene chiarito dalla presenza di un gatto nero che entra in scena, con un addetto della sicurezza che pende da una corda, caduto per cercare di acchiappare l’animale. «Dovevamo chiamare Kubrick», la penultima battuta della Jones, e qui i complottisti hanno sicuramente avuto un sussulto, perché lui è il maggior indiziato per la realizzazione della frode lunare, avendo in curriculum film come 2001 (il film è del 1968, un anno prima, nda) e Shining (1980), che qualcuno ha indicato come pieno di indizi(4) relativi appunto alla missione Apollo 11. No, non è la battuta relativa a Kubrick, ma secondo chi scrive e non solo, tutta o tutte le missioni Apollo, -qui iniziano le implicazioni ufologiche, in realtà nascondono e sono nascoste nella loro totalità per celare la realtà extraterrestre, ecco il vero motivo per il quale la NASA, che ha concesso l’uso del suo vero logo, con tanto di doppio “graffio” rosso, una sorta di “lingua biforcuta”, il cui concetto credo sia chiaro a tutti, ha dovuto falsificare le o la missione. Ecco, quindi, il perché del sottotitolo Le due facce della Luna, riferite non all’ambivalenza del film stesso, ma dal fatto che proprio sul lato nascosto del nostro satellite ci sono evidenti strutture aliene, «Persino la follia di una colonia nazista» come commenta Emiliano Condò che definisce «strampalate» le varie teorie del complotto. Inutile dire che non siamo d’accordo: tra accenni all’ormai arcinota Area 51, dove presumibilmente Kubrick fece quello che fece, tra allusioni agli Ufo recuperati, stavolta in fondo all’oceano, e non a Roswell (1947), l’ultimo dialogo tra la Johansson e Harrelson, chiarisce almeno l’aspetto più importante dell’opera di Berlanti:

«Gli alieni esistono?». «Camminano tra di noi…».

Come dire, in altre parole…

 

Note:

  1. Bill Kaysing, “Non siamo mai andati sulla Luna“, 1976.
  2. TG1 h: 20.00 del 02/07/2024.
  3. https://www.fantascienza.com/28767/2001-versus-interstellar
  4. https://movieplayer.it/articoli/fly-me-to-the-moon-film-storia-vera-luna-kubrick_32982/

Altre fonti:

https://www.fantasymagazine.it/36311/fly-me-to-the-moon-le-due-facce-della-luna

https://www.fantasymagazine.it/36313/fly-me-to-the-moon-al-cinema

https://www.comingsoon.it/film/fly-me-to-the-moon-le-due-facce-della-luna/64550/recensione/

https://www.cinematografo.it/recensioni/fly-me-to-the-moon-eslp16bz

https://www.mymovies.it/film/2024/fly-me-to-the-moon-le-due-facce-della-luna/

https://www.fantascienza.com/28767/2001-versus-interstellar

https://it.wikipedia.org/wiki/Fly_Me_to_the_Moon_-_Le_due_facce_della_Luna

Altri Post sull’argomento:

https://www.giuseppenardoianni.it/first-man-destination-moon/

https://www.giuseppenardoianni.it/luna-severa-maestra/

https://www.giuseppenardoianni.it/luna-il-grande-balzo-mancato/

https://www.giuseppenardoianni.it/ad-astra-verso-le-stelle/

Credits:

https://www.mymovies.it/film/2024/fly-me-to-the-moon-le-due-facce-della-luna/poster/0/

https://www.astrospace.it/2020/04/02/il-verme-e-tornato-la-nasa-riusera-il-vecchio-logo/

 

Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco

È disponibile su Netflix il film Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco (2023), la seconda parte, La sfregiatrice, sarà disponibile solo dal 19 Aprile prossimo. Diretto da Zack Snyder, per il quale è stato coniato il termine SnyderVerse, a sintetizzare l’ampio spettro d’interesse dello stesso, che ha già all’attivo film come: Justice League (2021), 300 (2014) e diverse pellicole sui Supereroi della DC Comics, storica antagonista della Marvel.

La protagonista, l’attrice algerina Sofia Boutella (Star Trek Beyond, 2016), interpreta, in un cast All Star, la giovane e misteriosa Kora, che da una pacifica colonia ai confini della galassia parte alla ricerca di alleati per combattere il tirannico imperatore Balisarius (che poi si scopre essere il padre adottivo della ragazza). L’opera è ispirata ad altri film/saga in particolare Star Wars e Il Signore degli Anelli, come confermato dalla produttrice-moglie del regista, Deborah Snyder. Ed è vero, perché l’impronta fantasy c’è tutta e il film stesso è ad ampio respiro, nel senso che la fantasia si mischia perfettamente con la fantascienza. L’inizio sembra invece un libro di storia, ma attenzione non la narrazione che tutti abbiamo acquisito, in pratica quella studiata nelle scuole di ogni ordine e grado. Se le conquiste dell’umanità abbracciano un lungo lasso di tempo, ancora non si è capito in termini esaustivi come sia nata la prima civiltà umana (i Sumeri) e, di conseguenza, quale sia stata la molla dello sviluppo della stessa e di pratiche come ad esempio l’agricoltura.

Infatti, se ormai diamo per scontato certi concetti, in realtà è tutto avvolto ancora nell’oscurità, indipendentemente da ciò che dicono gli esperti, sempre impegnati a sminuire, minimizzare e confutare, a fronte anche di testi validi come ad esempio Il mistero della Genesi delle Antiche Civiltà di Alan Alford, libro che non dovrebbe mai mancare ad un ricercatore serio e appassionato.

La scena si apre con un’esterna di un campo che Kora sta arando, sullo sfondo un green screen che mostra un pianeta simile a Giove, il pianeta quindi è una sua luna, la Luna Ribelle. Con l’arrivo improvviso dell’astronave aliena, la preoccupazione inizia a scorrere tra i componenti del piccolo e pacifico villaggio. La nave spaziale, che arriva dal “Mondo Madre”, è comandata dal perfido e feroce Ammiraglio che pretende tutto il tributo destinato agli «Dei del raccolto»; uccide il “Padre del villaggio” (il capo), e ricorda che c’è una taglia sui ribelli che, se denunciati, potrebbe servire per comprare tecnologia per arare meglio i campi. Ma i contadini credono che «fare il lavoro a mano, ci connetta alla Terra e onori i sacri Dei che ci danno la vita». Sebbene nel villaggio stesso c’è un minimo di tecnologia, in effetti -e questo nessuno studioso ufficiale  ve lo direbbe, la civiltà sumerica è nata già formata e l’agricoltura è stata solo un piccolo regalo degli Dei! Spiegare nei dettagli come effettivamente sono andate le cose è difficile e, inoltre, complicato visto che qui si tratta di un film. Ma autori come E. Von Däniken, l’italiano P. Kolosimo, il famoso, compianto sumerologo Z. Sitchin, fino a Mauro Biglino (e solo per citarne alcuni), nei loro testi analizzano quella che è conosciuta come la “storia alternativa”. Il dilemma, purtroppo per quelli che credono e difendono le teorie ortodosse, è che così, quasi tutti i tasselli, per quello che conosciamo fino ad oggi, si incastrano in modo più logico. Il Dio della Bibbia era soltanto uno tra tanti Dei e nemmeno il più importante! Ed è su questo assunto che la Chiesa ha fondato il suo credo!

I Sumeri chiamavano questi esseri “Anunnaki” (=coloro che dal cielo sono scesi sulla Terra, secondo Z. Sitchin), in verità coloro che ci hanno creato. Di fatto, i discesi dall’astronave dimostrano da subito «come chi ha il potere si comporta con chi non ce l’ha». Dalle casse tirano fuori i loro aiutanti robot (forse i Cherubini della Bibbia?) e interagiscono con gli umani mostrando un potere assoluto, fino a prendere con la forza, persino sessualmente, chi capitava a tiro, soprattutto giovani fanciulle con i capelli lunghi, nel film come nella Bibbia. Ecco il motivo per il quale, secondo San Paolo, le donne dovevano proteggersi con il velo… Ma la ragazzina, l’Acquaiola, porta con sé, oltre all’acqua un simbolismo esoterico che, sebbene oggi sia confluito in gran parte nell’astrologia, non possiamo esimerci dal non analizzarlo. Chiaramente il primo significato e quello dell’altruismo e della libertà, la cui ricerca assume un significato molto profondo. Il simbolismo inoltre, si identifica nel mito di Prometeo che rubò il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini; l’interesse per il progresso è insito, anche se la civiltà è ad un livello inferiore, l’anelito è sempre rivolto alla fratellanza universale e quindi al miglioramento delle condizioni dell’umanità. Nella Bibbia, il tutto è spiegato in termini spirituali, lo stesso Gesù Cristo si fa artefice del passaggio dall’Era dei Pesci all’Era dell’Acquario appunto, rappresentato dall’incontro con l’uomo con la brocca (Luca 22, 9), nel momento di preparare la Pasqua: il sacrifico è l’abbandono del Sé inferiore, per far risorgere il Sé superiore, cioè l’anima…

Lo stesso Snyder ha affermato che la trama complessiva ha un «duplice significato»(1), quello che qui abbiamo sintetizzato. Nel dialogo tra la stessa Acquaiola e il robot Jimmy (al quale presta la voce Sir Anthony Hopkins), il droide narra la leggenda della principessa Issa, nata da «carne e sangue nel nostro mondo», per inaugurare «una nuova era di pace e compassione», fino «al mito di donare la vita». Frasi dense di significato e dove è impossibile non notare il parallelismo su ciò che abbiamo appreso da duemila anni in avanti. Ma quello che abbiamo dimenticato, o peggio ancora, modificato ad uso e consumo di chi ha gestito le cose, quello cioè che non è finito nei libri è che in un lontano passato tutto era declinato al femminile e nel film di Snyder gli elementi rivelatori sono tanti, a partire dal “Mondo Madre”, poi l’Eroina ribelle impegnata in una Space Opera, nel senso letterale, cioè non solo su un pianeta, la Spadaccina, la già citata Acquaiola, fino alla Principessa, troppo simile alla figura del Cristo. Qui però nessuno muore sulla croce, ma combattendo, le «catene che ci legano», cioè leggi, religioni, sono le vere oppressioni, e anche se «la paura più grande che affrontiamo è la paura di noi stessi», la scintilla arriva da una piccola, insignificante luna, in una galassia lontana, ai confini dell’universo. Pure da lì, è possibile ammirare la bellezza del Creato, lottare per chi ama questa Terra e odia la tirannia di questo Mondo.

Note:

 

Il mondo dietro di te

«Un giorno ripensandoci, ci rideremo sopra, fidati…». A pronunciare le classiche ultime parole famose, presenti però solo nel trailer, è la credibile star, raramente alle prese con una pellicola oltre confine, Julia Roberts, protagonista de Il mondo dietro di te (tit. or. Leave the world behind), scritto e diretto da Sam Esmail, prodotto da Netflix e uscito direttamente in streaming. «Dentro di noi lo sapevamo tutti che questo giorno sarebbe arrivato», è invece la tagline. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Rumaan Alam, bestseller 2020, qui anche produttore esecutivo. Si inizia con una visione dallo spazio del pianeta Terra, con il sole che sorge, annunciando una vivida alba, molto simile a quella vista in film come Segnali dal futuro (A. Proyas, 2009), titolo e film citati non a caso, ma lo stesso e il regista, devono molto anche ad altre opere, in particolare a E venne il giorno (M. Night Shyamalan, 2008), non solo per l’angoscia che vi traspare, aumentata da riprese quasi simmetriche e dalla presenza di figure geometriche in antitesi come rettangoli (la piscina) e cerchi (l’aiuola). Diviso in capitoli, ad iniziare da “La casa”, dove si svolge gran parte dell’azione: e dove credi di essere al sicuro prima che due estranei, padre e figlia, in realtà i proprietari, bussino alla porta. Ma la prima scena disturbante è il lento arrivo di una petroliera che  poco a poco, fra l’imbarazzo dei bagnanti, ne assistono impotenti al naufragio sulla sabbia, effetto un po’ forzato perché, secondo logica quest’ultima, dato il pescaggio, si sarebbe dovuta arenare molto prima di arrivare sulla battigia e oltre. Di colpo tutta la tecnologia inizia a non funzionare, l’ipotesi più concreta è all’inizio, quella di un cyber attacco, c’è solo il tempo di ricevere un National Alert, uguale al Presidential Alert di Greenland (Ric R. Vaugh, 2020), con G. Butler, protagonista anche di Geostorm (D. Devlin, 2017). Come nel film di Shyamalan, anche la natura fa la sua parte, oltre ai soliti stormi di uccelli che fuggono nella stessa direzione, di particolare rilievo è il simbolismo dei cervi, quasi inquietanti, presenti, come accennato nel film, nella mitologia mesoamericana, che si avvicinano senza timore agli umani, quasi per un tentativo di comunicazione. Allora «Se non sei paranoico, forse è troppo tardi», e di fatto cadono aerei, prima uno, di cui si vedono i rottami sulla spiaggia, poi un altro, un altro ancora sorvola la zona lanciando volantini in arabo, inneggiando alla guerra contro gli Stati Uniti. «Conoscere gli schemi che governano il mondo, devi saper leggere la curva, se la studi come faccio io, puoi prevedere il futuro». La tensione si impenna, anche grazie ad una regia che nei momenti topici predilige inquadrature con prospettive aberrate; dopo i telefoni in tilt perché evidentemente anche i satelliti per le comunicazioni hanno smesso di funzionare, si sentono esplosioni in lontananza e un forte ronzio, un «frastuono» talmente forte che non serve proteggersi le orecchie, e che suggerisce l’uso di «armi a microonde». Un timido tentativo di fuga dall’incubo di tutta la famiglia, fallisce perché all’improvviso, sulla strada che sembra deserta, si scopre una moltitudine di macchine bianche, tutte uguali e tutte dello stesso famoso marchio, che all’improvviso ti vengono addosso, come in un assurdo videogioco, con il parabrezza come schermo. Eppure è nei dialoghi, -che andrebbero analizzati e sviscerati, più che nelle immagini, dove il film sembra sostenere sè stesso; in uno di questi tra la Roberts e il proprietario della casa, l’attore Mahershala Ali afro-americano, dettaglio da non trascurare, come vedremo, si intravede uno spiraglio: «La congrega malvagia che governa il mondo»; «Nessuno ha il controllo, nessuno muove i fili», ma il senso del discorso che apparentemente sembra complottista, vira in direzione opposta perché anche se ai piani alti possono avere le «informazioni giuste», quando però capitano eventi così nel mondo «persino i più potenti possono soltanto sperare di ricevere una soffiata». Ed ecco che uno schema, appare davvero, Prima Fase: Isolamento; Seconda Fase: Caos Sincronizzato; Terza Fase: Colpo di Stato; poi la guerra civile e il collasso. Fasi fin troppo simili alle famigerate Tre Alternative, proposte dalla Jason Society nel 1957 al Presidente Eisenhower, per una riduzione drastica della popolazione mondiale. «Finzione e/o Realtà»?, -l’interrogativo è mio, ma questo è il titolo del servizio del settimanale della Rai “TV7”(1), a firma di uno dei più famosi giornalisti italiani, Marco Varvello, per anni corrispondente prima da New York, poi da Londra, che usa il binomio che salta sempre fuori quando si ha a che fare con la fantascienza e un possibile futuro distopico. Forse molti non se ne sono accorti, ma fra i titoli di testa del film, tra i produttori, figura anche la Higher Ground, i cui soci fondatori sono l’ex coppia Presidenziale degli Stati Uniti: Barak e Michelle Obama! Il regista ha confermato che Obama stesso «gli ha fornito degli appunti sulla sceneggiatura»(2), mentre nel servizio succitato, ha dichiarato che il film è «un ammonimento su quello che potrebbe accadere». Quindi Varvello, continuando sulle immagini reali di scontri fra manifestanti e forze dell’ordine, snocciola tutta una serie di concetti che non fanno ben sperare, infatti gli «strateghi del Pentagono», sono convinti che la «minaccia esistenziale», creerebbe il «caos», che porterebbe ad una «guerra civile ingovernabile», dove salterebbero le comunicazioni, internet verrebbe disattivata (proprio come accade nel film, nda), attaccato il «sistema di controllo aereo, le centraline digitali di auto, navi, voli di linea…». «La paura e il caos» regnerebbero ovunque, si inizierebbe dal vicino di casa, (ancora come nel film, nda), che improvvisamente diverrebbe il tuo «peggior nemico», fino agli «aspetti strategico-militari» e alla «guerra psicologica simmetrica». In definitiva: «La fragilità della nostra vita quotidiana che va in pezzi». Le scene catastrofiche diventano di colpo molto realistiche quindi, al solito: «Qual’è la verità?». Il momento cruciale di tutta la pellicola è il dialogo di cui sopra. Come sempre, questa è solo la nostra modesta opinione, non siamo d’accordo: «sappiamo che è tutta una bugia», l’ennesimo tentativo di depistaggio, le molliche di pane lasciate per chi ha orecchie per intendere: a parlare è lui! È Obama stesso! Afroamericano come appunto l’attore. Non basta una congiunzione astrale, nè un eclissi totale, nè tantomeno la bandiera a stelle strisce sulla Luna, ormai consumata -da cosa, sè sul nostro satellite non c’è aria?, che possono fuorviare. Non servono dritte, nessun suggerimento alla sceneggiatura e al regista, è tutto ben visibile, per l’ennesimo tentativo d’informare in modo indolore, da parte di quello che è stato per otto anni l’uomo più potente del mondo e -credo di non essere il solo, colui che sapeva fin dai tempi del College che sarebbe diventato Presidente, lo stesso che, probabilmente, è stato due volte su Marte… Il mondo dietro di te, è niente più e niente meno, quello che si lascerà alle spalle il Nuovo Ordine mondiale!

Nota dell’autore:

Dove non specificato le citazioni sono tratte dal film.

Altre fonti:

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Killers of the Flower Moon

Sono certo che vi starete chiedendo come mai un film dove non compare nessuno dei must -Ambiente a parte, del blog, possa essere preso in considerazione dallo scrivente.
La ragione è semplice: considero il popolo dei nativi, soprattutto nord-americani, come la civiltà più saggia che abbia mai visto la luce sul nostro pianeta, e non soltanto per questa umanità, ma fin dove ne serbiamo memoria, comprese quelle appartenenti al mito.
Iniziamo dal contesto storico: nel 1886 poco più di un secolo dopo l’Indipendenza (1776), il governo americano pose fine a quella che è riportata sui libri come “la questione Indiana”. L’ultimo ad arrendersi fu Geronimo (1829-1909) sciamano e capo guerriero Apache. Anche se una delle pagine più nere della storia americana avvenne pochi anni dopo, il 29 dicembre del 1891 a Wounded Knee, quando le mitragliatrici e la Cavalleria falcidiarono un intero villaggio, donne e bambini compresi.
W. E. Washburn, nel suo libro Gli Indiani d’America (Editori Riuniti, 1981) così scrive: «la presenza e l’impatto dei bianchi sulla vita indiana sono stati così imponenti che si falsificherebbe la storia se si cercasse di studiare gli indiani come se i bianchi non fossero esistiti…».
In realtà la storia è stata falsificata, si perché la mistificazione dei racconti da parte di esploratori, cacciatori, e coloni, fino agli scrittori e ai registi che vedevano nei nativi, solo dei selvaggi, non solo hanno impedito di comprendere la magnificenza e nobiltà della cultura indiana, ma soprattutto sembra abbiano giustificato, in un certo senso, il sistematico massacro compiuto ai loro danni.
Sterminati per il progresso? Per le mire espansioniste, nel Far West, degli Stati Uniti? Per la corsa all’oro? Niente di tutto questo, infatti -e questa è sola la mia modesta opinione, che il motivo, per il quale milioni di nativi, sono stati uccisi fin dai tempi dei conquistadores, è uno e uno soltanto: il loro stile di vita!
Loro non sapevano che cosa fosse il lavoro -almeno non nella visione occidentale, prendevano dalla natura, per la quale avevano un’autentica venerazione, solo quello che bastava per il loro sostentamento, ringraziavano e pregavano per ogni animale ucciso (proprio come si vede in Apocalypto di M. Gibson e in Avatar di J. Cameron), di conseguenza, avevano più tempo per dedicarsi agli affetti, alla famiglia, a tutte quelle attività di svago e creative che potessero alimentare in maniera positiva lo spirito e l’anima. Non capivano il concetto di proprietà, in realtà del tutto astruso, ma soprattutto non capivano che la terra -la “Madre Terra”, si potesse suddividere, trattare e mercanteggiare, e come molti non sanno, non sapevano assolutamente che cosa farsene del denaro! Per loro semplici pezzi di carta…
Eppure si sono fidati dei bianchi, dei “visi pallidi”, come ci chiamavano, e dei loro trattati: chiusi in riserve, malnutriti e decimati, a volte con l’uso di coperte infestate dal vaiolo, spesso con il tacere della Chiesa, i cui rappresentanti, i “Manti Neri” (i Preti, v. il film di B. Beresford, 1991), cercavano di imporre loro il cristianesimo, anche con metodi poco ortodossi, come nel caso di Alce Nero, capo guerriero della tribù Oglala, battezzato con il classico gavettone…
Fumare la pipa “il Calumet”, davanti a un bel fuoco era uno dei loro, innocenti piaceri, ma purtroppo, come vedremo, non il solo. In uno dei film che hanno rappresentato la svolta, riconsegnando la dignità a tutta la nazione dei nativi americani, Balla coi lupi (K. Costner, 1990), il Ten. John J. Dunbar che fino al contatto non sapeva chi veramente fosse, assimilato totalmente alla cultura dei “selvaggi”, riflettendo, definisce con un solo, significativo termine, la sua nuova condizione: «armonia».
Il rispetto per l’ambiente, dove ogni componente era sacro e l’armonia con il creato appunto, faceva sì che il loro grado di spiritualità fosse molto alto, tale da rendere poca cosa quello che è in noi oggi.
E se nel film di Costner i protagonisti, sono gli appartenenti alla fiera Nazione Sioux, nel film di Scorsese -che compone forse la più riuscita triade Hollywoodiana con altri due Premi Oscar, De Niro e DiCaprio (qui anche produttore esecutivo), e con la vera nativa Lily Gladstone, l’azione si svolge all’interno della Nazione Osage: “Il popolo del Cielo”, “Il popolo delle Acque di Mezzo” e il riferimento ai primi versi della Genesi, c’è tutto. Ambientato nei primi anni venti del secolo scorso a Fairfax in Oklahoma, i membri della tribù scoprono che sotto i loro piedi scorrono fiumi di petrolio, facendoli diventare di colpo «Il popolo scelto dal caso, con il reddito pro-capite più alto del mondo».
Tratto dal libro di David Grann(1), dal titolo Killers of the Flower Moon (letteralmente Gli assassini della Luna dei Fiori), ma tradotto in italiano con il titolo “Gli assassini della terra rossa”, narra anche delle investigazioni da parte dell’allora nascente FBI, il Federal Bureau of Investigation, forse al suo primo, importante caso, per quanto concerne gli omicidi ai danni, di uomini e donne, della nazione Osage, all’epoca dei fatti.
Il film però non ha convinto in pieno gli attuali Osage, perché secondo i vari consulenti, racconta il punto di vista dei bianchi, che si sentivano intoccabili perché era «più facile essere condannato per avere preso a calci un cane, che per aver steso un indiano».
Anche se il film inizia con una toccante cerimonia, dove viene seppellita una pipa che, al contrario, vale come “disseppellire l’ascia di guerra” (frase questa presente in tutti i western vecchia maniera), le immancabili contaminazioni culturali sfociano nell’alcool (l’”acqua di fuoco”, il solo vizio ereditato dai bianchi), a malattie come il diabete, la tosse canina e alle morti per «deperimento organico».
Tutto in contrasto con l’opulenza, le auto lussuose, gli abiti eleganti e raffinati gioielli, il conto in Banca… Cose che erano lontane anni luce da quella che era la vera essenza di tutti i nativi americani.
Scorsese, che quasi alla fine si regala un piccolo cameo, con una scrittura lenta, fatta di molti dialoghi, mette in scena una sorta di “regno del terrore”, dove i “bianchi” sciamano a flotte sull'”oro nero”, per appagare la loro brama di ricchezza e avidità, incuranti dell’innocente sangue versato per lavarsi una coscienza totalmente assente soprattutto nei protagonisti principali, “il Re”, De Niro, lo zio Massone del 32° livello e il nipote DiCaprio, soltanto una pedina, sacrificabile, nelle sue mani.
Non c’è posto per i fiori, in tanta violenza, sono presenti solo all’inizio con la distensiva vista di un prato con tutti fiori lilla e allegoricamente nei frames finali quando dall’alto viene ripresa una moltitudine di nativi che balla, intorno ai tamburi rullanti, come un immenso fiore che gira su sè stesso in una sorta di connubio con la natura. Un connubio sconosciuto all’uomo bianco, capace solo di fare terra bruciata al suo passaggio, e non un’immagine potente come la scena finale e la commovente, evocativa preghiera al “Grande Spirito”, di Chingachgook, alla morte del figlio, che lo rende, L’Ultimo dei Mohicani.

Note:
1. Altro libro di D. Grann è The Lost City of Z, da cui è tratto il film La Civiltà Perduta (qui la mia recensione).

Fonti:
https://www.mymovies.it/film/2023/killersoftheflowermoon/
https://www.mymovies.it/film/2023/killersoftheflowermoon/rassegnastampa/1709061/
https://www.mymovies.it/cinemanews/2023/184243/
https://www.comingsoon.it/film/killers-of-the-flower-moon/58030/scheda/
https://www.comingsoon.it/film/killers-of-the-flower-moon/58030/recensione/
https://www.mymovies.it/film/2023/killersoftheflowermoon/news/scorsese-e-dicaprio-ancora-una-volta-insieme/
https://it.wikipedia.org/wiki/Killers_of_the_Flower_Moon
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Grann
https://www.comingsoon.it/cinema/news/killers-of-the-flower-moon-le-opinioni-contrastanti-dei-consulenti-osage/n167870/
https://www.ilgiornale.it/news/mondo/mio-antenato-alce-nero-non-mai-stato-davvero-cattolico-1478596.html
http://laschiavitudellavoro.blogspot.com/2015/11/gli-indiani-avevano-gia-capito-tutto.html

credit:
https://www.mymovies.it/film/2023/killersoftheflowermoon/poster/0/

The Creator

«Come posso essere utile?».
È quello che chiede, servizievole, uno dei robot intelligenti, fatto a immagine e somiglianza degli uomini alla sua padrona, una delle tante lattine come le chiama Will Smith, protagonista del film I, Robot (A. Proyas, 2004), mentre la luce in pieno petto da rossa (pericolo), diventa di nuovo azzurra. Certo non siamo dalle parti di Matrix -ricordate il tormentone pillola rossa o pillola blu?, ma ci sono indubbiamente delle affinità, oltre alla Matrice e ai programmi senzienti -gli agenti in nero, c’è, come in Matrix, l’Architetto che ha creato l’A.I. e l’arma finale.
Dalla bomba di Oppenheimer alla bomba, che nel film esplode nel futuro postatomico, anche se effettivamente non si capisce se a lanciarla sono le A.I. -che vivono in oriente pacificamente con gli asiatici, nella Los Angeles del 2055.
Scritto e diretto da Gareth Edwards, già regista di Rogue One (2016), uno dei migliori, nuovi film spin-off, di Star Wars, Godzilla (2014) e che ha esordito nel 2010 con Monsters, un film low budget, ma davvero ben realizzato per essere un’opera prima. Intervistato, il regista inglese, ha affermato che il film: «Ha seguito traiettorie produttive decisamente diverse rispetto agli standard di analoghi prodotti hollywoodiani»(1) e a convincere la produzione a non utilizzare il green screen, ma effettuare le riprese in location vere.
Sebbene «Le sue AI sono al contrario dei robot, un tòpos ormai vintage nella fantascienza, e rappresentano “l’altro”, il diverso da noi, che ci fa tanto più paura quanto più è esotico. Non a caso vengono accolte in Oriente ed è contro gli asiatici che gli americani tornano a fare la guerra, come ai tempi del Vietnam, con tanto di bombardamenti, assalti a villaggi e fucilazioni»(2).
Come Skynet, la A.I. della saga di Terminator, la W.I.K.I. del già citato I, Robot, ma anche il film omonimo (2001) di Spielberg e, per certi versi Il mondo dei robot (M. Crichton, 1973), le angosce dei due Blade Runner, ma anche di Trascendence (W. Pfister, 2014), e soprattutto le paranoie delle Unità Centrali (CPU) come HAL di 2001 e di Generazione Proteus (D. Cammell, 1977), passando per War Games (J. Badham, 1983), dove si arriva sull’orlo di una Guerra Termo Nucleare Globale, il film di Edwards, analizza il tutto sia concettualmente che all’atto pratico, realizzando un prodotto quantomeno dignitoso.
Qui l’arma definitiva, è una bambina, un “Simulat”, non un semplice «copia e incolla», -ogni robot è solo un involucro senza coscienza, ma ottenuto con la scansione di un embrione umano, si chiama “Alfa O.”, cioè “Alfa e Omega”, chiaro riferimento al film L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie (T. Post, 1970), non solo perché anche qui il protagonista si chiama Taylor, come C. Heston, ma perché, nel finale, egli crea l’Apocalisse, facendo esplodere l’arma più potente mai costruita, appunto la bomba definitiva, che ha, sulle alette le due lettere dell’alfabeto greco “A” e “Ω”.
Ma anche gli esseri umani hanno costruito una nuova arma, una sorta di stazione spaziale, -un’enorme astronave, che incombe come una minaccia ovunque essa si trovi, il suo nome è Nomad, che potrebbe significare “nomade”, data la sua natura errante, ma in realtà significa: “North American Orbital Mobile Aerospace Defense”.
Come non pensare quindi al vero NORAD (=North American Aerospace Defense Command; in italiano: Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America), un’organizzazione congiunta del Canada e degli Stati Uniti, formata da una serie di stazioni radar, che dal 1958, fornisce un quadro di insieme sulla situazione (natura, posizione, direzione e velocità) di ogni oggetto volante nell’ambito aerospaziale del Nord America (Wikipedia).
Oltre alla tecnologia avanzata, c’è anche una forte impronta spirituale, non solo per la presenza di monaci buddisti robot, ma per il termine Nirmata, che è la parola con la quale gli umani definiscono il nemico. Deriva dal nepalese e significa “creatore divino”, The Creator, appunto.
Se nel film di Proyas I, Robot, Sonny suicida il suo creatore, da questi programmato allo scopo, quindi senza l’impostazione delle tre “Leggi della Robotica” sviluppate da Asimov, qui si assiste al ribaltamento dei ruoli. La bambina, programmata per crescere, imparare ed evolvere, può piangere e qui il riferimento è a Terminator 2 (J. Cameron, 1991), quando il ragazzino John Connor, affezionatosi al cyborg (tecnicamente nel film di Edwards, anche il protagonista, sebbene umano, ha un braccio e una gamba artificiale è, di fatto un cyborg), che piangendo, lo supplica di non terminarsi, per sentirsi rispondere: «Ora capisco perché piangete, ma io non potrei mai farlo». Citazione semplice, ma efficace perché ha tutto di umano, in qualcosa che umano non è, ed è questa la sfida, da accettare o meno. «Non riuscirete a sconfiggere le A.I. È levoluzione».
Paul Virilio uno dei massimi pensatori del secolo scorso -teorico culturale ed esperto di nuove tecnologie, ebbe a dire(3) che le nuove tecnologie, come tutte le tecnologie, introducono un incidente specifico: inventando il treno si é inventato il deragliamento, inventando laereo lo schianto al suolo, inventando la nave il naufragio, ecc. Se il concetto all’epoca, fu riferito alla Realtà Virtuale, confluita poi nella Realtà Aumentata, siamo perfettamente consapevoli a cosa porterà lo sviluppo delle A. I. Che la si chiami Singolarità o con un altro termine, nel momento in cui la macchina prenderà coscienza di sè, aprirà sì nuovi scenari per la specie umana, ma la strada verso il futuro sarà sempre piena di ostacoli e, comunque quello che ci attende all’orizzonte resta sempre, il nostro, un Destino Oscuro.

Note:

3. Paul Virilio, in Virtual” nº 8, Aprile 1994.

Fonti:

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